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Ricominciare dal mare

  26 Luglio 2021

Tra le virtù terapeutiche del mare vi è quella di curare il passato. È così per gli “Scugnizzi a vela” di Stefano Lanfranco e Giuseppe Centomani, giovani a rischio che imparando un lavoro si schiudono a un nuovo modo di stare al mondo 

  

“Una vasta famiglia” e un’educazione improntata all’autodisciplina. È questo che Giulia Civita Franceschini offrì negli anni dal 1913 al 1928 a oltre 700 bambini e ragazzi raccolti dalle strade e ospitati sulla Nave Asilo “Caracciolo”, una pirocorvetta in disarmo della Marina Militare, donata dal ministro della Marina come rifugio per l’infanzia “pericolante” della città. Una vasta famiglia e il mare, da cui reinventarsi una vita, salvandola dai frangenti del fato e ancorandola al lavoro. Cento anni dopo il mare di Nisida è uno specchio in cui vedersi rinnovati e migliori, per i ragazzi a rischio di devianza ed emarginazione impegnati nel progetto “Scugnizzi a vela”. Ne parlano a Dodici Magazine Stefano Lanfranco, presidente dell’Associazione LIFE e Giuseppe Centomani, dirigente del Centro di Giustizia Minorile di Campania, Puglia e Basilicata. 

 

Stefano Lanfranco, presidente dell’Associazione LIFE 

Come nasce il progetto “Scugnizzi a vela”? 

«Scugnizzi a vela è un progetto dell’Associazione LIFE realizzato nell’ambito del laboratorio “I mestieri del mare”, situato all’interno del Quartier Generale della Marina Militare di Napoli. Siamo nati sedici anni fa come volontari, acquisendo da loro due imbarcazioni storiche a vela in legno, che stavano dismettendo. Abbiamo impegnato i nostri risparmi, poi nel tempo è arrivata anche la comunicazione e con questa qualche sostenitore. Da lì sono cominciati anche i rapporti con il Centro Diurno Polifunzionale di Nisida e con il Centro di giustizia minorile per la Campania. Finita la detenzione, la condanna continua all’esterno con un progetto di messa alla prova. Adesso abbiamo circa una decina di ragazzi, una cosa straordinaria, siamo nati con due-tre ragazzi proprio all’interno della falegnameria borbonica, nel laboratorio». 

 

Cosa si propone questo progetto? 

«Il nostro programma di educazione e integrazione è volto all’inserimento dei ragazzi nel mondo del lavoro. Tenerli lontano dai quartieri di provenienza e mandarli subito a lavorare. Due di loro lavorano all’interno del Porto di Napoli, in aziende che si occupano di carpenteria navale, e uno da McDonald’s. Noi parliamo di contratti fiscalizzati, non a nero. Questi ragazzi imparano il rispetto delle regole e degli altri scugnizzi. Ne escono degli apprendisti manutentori e restauratori. C’è in progetto anche un’apertura per le ragazze, per la figura di hostess di bordo, con l’aiuto degli assistenti sociali possiamo comprendere anche queste dinamiche. Abbiamo una serie di barche restaurate e pronte anche a fare pesca-turismo, boat and breakfast. Tutto questo non sarebbe possibile senza i nostri volontari, senza Salvatore Di Leva della Compagnia Cantieri Napoletani e l’etico sostenitore Fondazione Grimaldi. Noi ci mettiamo cuore, tempo e passione». 

 

Giuseppe Centomani, dirigente del Centro di Giustizia Minorile di Campania, Puglia e Basilicata 

Cosa rappresenta per lei “Scugnizzi a vela”? 

«Questo tipo di attività e progetti è l’espressione di un cambio di paradigma. Per tanti anni nell’ambito della giustizia si sono organizzate attività di formazione professionale basate più sull’addestramento tecnico e manuale, piuttosto che di formazione professionale, alla fine del quale un ragazzo si individui come un lavoratore. Sono progetti che coinvolgono i ragazzi non solo da un punto di vista cognitivo, tecnico, ma anche da un punto di vista relazionale molto forte».  

 

Come sono questi ragazzi? In che condizioni li incontrate e come li lasciate?  

«“Questi ragazzi” non esistono. Non esiste una tipologia fissa uguale per tutti, sono diversi tra di loro come sono diversi ragazzi che non hanno esperienze penali. Il primo presupposto se vuoi lavorare bene con loro è conoscerli sul serio, incontrare veramente quel tipo di persona e non lo stereotipo dei ragazzi delinquenti che puoi avere in mente. Hanno situazioni di particolare complessità. Vengono da una povertà complessa, interazione di diversi tipi di povertà, oltre quella economica: educativa, etica, relazionale, culturale. All’interazione di tutte queste povertà si deve una condivisione di vita e di percezione del mondo e di se stessi che favorisce la scelta di scorciatoie per ottenere quello che si percepisce come importante. Il nostro obiettivo è quello di trovare gli strumenti più idonei a individuare le persone che abbiamo davanti. E nel momento in cui le individuiamo, inserirle in percorsi realmente educativi, ovvero percorsi che non hanno come scopo quello di far passare il tempo in modo meno pesante possibile. Non star lì a dire a qualcuno da che parte deve andare, ma andarci insieme. Che è l’essenza dell’attività educativa». 

di Simona Ciniglio 

 

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