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L’Italia fondamentale per l’Europa

  04 Ottobre 2021

Digitazione, innovazione e competitività. Quali sono le sfide che ci aspettano per il Sud? L’analisi di Amedeo Lepore, Ordinario di Storia economica all’Università Vanvitelli di Napoli e alla Luiss di Roma 

«La scena futura dell’Europa sarà molto influenzata dal ruolo che l’Italia sta cominciando a svolgere a livello internazionale, non solo sul versante del dialogo, ma anche per il protagonismo che sta avendo sullo scenario internazionale. La proposta di un G20 sui principali nodi dello scenario globale e il ruolo che inevitabilmente avrà l’Italia e il suo premier Draghi dopo le elezioni tedesche e quelle francesi, sarà un ruolo cruciale per lo sviluppo dell’Europa. All’Italia spetta un ruolo fondamentale: se pensiamo che solo fino a qualche anno fa si discuteva dell’Italia come “fanalino di coda” dell’Europa, questo è già un risultato straordinario». Ne è convinto il professore Amedeo Lepore.  

Innovazione digitale e competitività. Quali sono le prospettive e le sfide che ci aspettano per il Sud? 

«Il Sud ha già fatto grandi passi in avanti in termini di infrastrutture territoriali ed è in grado, se colma il divario anche nelle aree a fallimento di mercato, di avere una rete capace di fornire prospettive per l’industria e per gli impieghi civili e sociali della rete. Credo che l’innovazione digitale insieme alla transizione ambientale sia il futuro del Mezzogiorno, non solo dal punto di vista dell’iniziative dell’intervento pubblico ma, soprattutto, dal punto di vista dello sviluppo degli investimenti privati. In particolare, mi riferisco alle filiere produttive delle 4A: abbigliamento, aerospazio, automotive e agroalimentare che unite al settore farmaceutico rappresentano una grande potenzialità. Insomma, la digitalizzazione può essere la leva fondamentale per fare sistema». 

 

Come si intrecciano le nuove politiche industriali nell’orizzonte del PNRR, considerando che ci sono un po’ di fondi in meno ed è necessario individuare esattamente dove puntare le risorse? 

«Se si riferisce alle politiche ordinarie, quest’ultime sono complementari a quelle del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Credo che i fondi disponibili, tra fondo del PNRR, Fondi complementari e Politiche ordinarie, uniti ai Fondi europei strutturali, sono una messa di risorse mai sperimentata prima dal nostro Paese. Piuttosto che guardare alla quantità delle risorse per il Mezzogiorno, credo che si debba guardare alla qualità dei progetti e alla capacità della spesa che purtroppo ha rappresentato un limite molto forte negli anni precedenti. Anzi, nel periodo delle politiche di sviluppo locale, nella cosiddetta contrattazione programmata, sono state ubicate male e poco le risorse arrivate copiosamente al Sud. Occorre, quindi, non ripetere quella stagione con un Sud che basava il proprio sviluppo, la propria sopravvivenza per meglio dire, solamente sugli interventi di carattere assistenziale e sul trasferimento del reddito, guardando, invece, alla possibilità di un nuovo scenario per tutto il Mezzogiorno e per il paese grazie agli investimenti produttivi sia pubblici che privati e alle riforme possibili. Penso che le risorse non siano scarse ma anzi veramente copiose: abbiamo una dovizia di risorse da utilizzare nei prossimi anni».  

 

A suo parere, quindi, il problema del Mezzogiorno si sta affrontando secondo una nuova filosofia, una nuova strategia?  

«Sono ottimista per scelta oltre che per natura, però, credo che le politiche che si stanno portando avanti negli ultimi mesi, sono delle politiche che hanno inquadrato il problema del Mezzogiorno in una cornice nazionale ed europea. Penso che questo sia innanzitutto il modo migliore per affrontare quella che veniva chiamata la “Questione Meridionale” che oggi è un problema di carattere nazionale ed europeo e deve essere fronteggiato con gli strumenti disponibili, ma soprattutto, non distinguendo il Mezzogiorno dal resto del paese. Ci vogliono politiche nazionali e, mi pare, che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sia proprio “nazionale” che punti a integrare il Mezzo- giorno nel resto del paese e ad avere una maggiore intensità di interventi nel Mezzogiorno. Non guardo agli obiettivi quantitativi, anche se avere il 40% delle risorse del PNRR destinate al Mezzogiorno anziché il 50% degli investimenti infrastrutturali destinati al Sud, mi sembra veramente un obiettivo molto ambizioso. Credo che tutti debbano guardare alla possibilità di politiche generali che affrontino in un ambito europeo la questione del Mezzogiorno e il suo divario che, purtroppo, persiste. Un gap molto serio in termini di disoccupazione giovanile e femminile, in termini di capacità inutilizzate, in termini di perdita di forza lavoro e che, soprattutto, quando è qualificata, cerca sbocchi altrove».  

 

In alcuni settori, in questi anni, si sono sperimentate delle iniziative molto importanti, il problema è che le esperienze di eccellenza non fanno sistema tra di loro.  

«Questo è il punto fondamentale. Bisogna creare un contesto nel quale sia possibile far interagire realtà avanzate e, soprattutto, bisogna puntare ad allargare la base produttiva del Sud per superare il divario che, pur essendo cresciuta in alcuni anni, penso al periodo tra il 2015 e la fine del 2017, in cui c’è stata una crescita del Mezzogiorno, anche se moderata, più alta di quella del Nord. Questo, però, non basta a invertire la tendenza strutturale, anche perché quelle politiche positive sviluppate in quegli anni sono state interrotte da scelte che non hanno giovato al Mezzogiorno, scelte per le quali si è passato da investimenti produttivi nuovamente a trasferimenti del reddito. Quella interruzione non ha consentito di portare avanti con più forza una politica di investimenti produttivi nel Sud. Nel 2018 si è interrotta questa politica e solo adesso con Draghi e con le misure decise a livello europeo che si sta riprendendo questo obiettivo, fondamentale per il Sud e per tutto il paese per superare il divario e creare nuove opportunità nel Mezzogiorno. Attraverso la transi- zione ambientale e la digitalizzazione, il Sud diventa un territorio che può fare da leva per lo sviluppo di tutto il Paese. Puntare in questa direzione è una convenienza non solo dei meridionali ma di tutto il Paese». 

 

Occorre una politica industriale che vada in questa direzione. 

«Occorre rilanciare la IV rivoluzione industriale soprattutto nel Mezzogiorno, un territorio che, dal punto di vista delle competenze imprenditoriali, presenta già delle opportunità, il Sud non è un deserto. Il deserto produttivo lo si è ampliato negli anni in cui non si sono fatte politiche di sviluppo produttivo, fortunatamente, questa desertificazione ha conosciuto un forte baluardo nella presenza delle industrie più avanzate dell’imprenditoria più accorta del Mezzogiorno. Non a caso le 4 A, a cui facevo riferimento prima, sono cresciute fortemente nel loro ambito settoriale e sono competiti- ve al pari di quelle del Nord. In alcuni casi ci sono esperienze nel Mezzogiorno che sono più avanzate di quelle del Nord e molto internazionalizzate, in grado di creare delle aggregazioni sovraregionali, non solo di carattere meridionale, ma che si integrano con le industrie del Nord. Un humus favorevole c’è, il problema vero è che questi interventi e queste iniziative anche da parte dei privati si sono sviluppate isolatamente, non sono diventate fattor comune».  

 

Il problema di fare sistema è esattamente questo.   

«Le istituzioni hanno questo compito: mettere insieme, aggregare, creare le condizioni perché il mercato si rafforzi e perché queste imprese possano come un fiume carsico emergere e inondare il territorio, quindi far generalizzare queste esperienze e farle diventare guida di una nuova fase di industrializzazione moderna del Sud. Credo che questo sia l’obiettivo principale. Certo, ci sono questioni fondamentali che non possono essere considerate a parte. Innanzitutto quelle relative alla ricerca e allo sviluppo, alla formazione del capitale umano, alle condizioni di contesto, al capitale sociale del Mezzogiorno ma tutti questi elementi, privi di una politica industriale, rischiano di non portare risultati positivi. Al contrario, un’integrazione dei diversi interventi con equilibrio e con capacità di sviluppare una politica economica adeguata, può consentire al Sud di crescere e aiutare le forze presenti nel Mezzogiorno di godere di interventi di chi vuole investire capitali provenienti dall’esterno, come è già avvenuto in questi anni in modo significativo in alcune regioni».  

 

Una iniziativa di questo genere può sicuramente corroborare l’economia meridionale e può offrire una nuova prospettiva.  

«Le forze ci sono ma non ce la faranno mai da sole. Occorre che queste forze siano consapevoli della necessità di una politica generale in Italia favorevole alla loro attività ma soprattutto che la politica industriale serva a rafforzare la struttura produttiva nel Sud. Questo vuoto produttivo va colmato e deve diventare l’elemento per completare il quadro delle iniziative che sono già in corso e che possono diventare una leva su cui far crescere la base industriale del Mezzogiorno d’Italia». 

 

di Daniela Rocca

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