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Covid e lockdown: giovani a rischio

  20 Luglio 2021

La pandemia ha minato la salute mentale di tutti, ma l’impatto è peggiore nei giovani, meno vulnerabili al virus e più esposti alle sue conseguenze future 

Sono considerati tra i grandi dimenticati della pandemia, eppure sempre più spesso sono proprio i giovani a dover affrontare le conseguenze psicologiche dell’isolamento. Nella cornice di un’Italia proiettata nella seconda riapertura, i ragazzi stanno fronteggiando nuove difficoltà scaturite da quasi due anni di distanziamento sociale. Secondo quanto riportato dall’Unesco, durante la seconda ondata del contagio oltre 580 milioni di studenti hanno subìto la chiusura di scuole e università insieme ai conseguenti disagi psicologici ed emotivi. Valutare e analizzare la salute mentale dei giovani oggi dovrebbe essere prioritario, per far sì che la cultura della prevenzione e del benessere psicologico non venga mai più relegata al secondo posto. Ma quali sono le principali conseguenze della pandemia sull’equilibrio psico-emotivo dei ragazzi? Lo abbiamo chiesto a Rossella Guida, psicologa e psicoterapeuta.  

Dottoressa Guida, pensa che il distacco sociale vissuto negli ultimi anni possa avere un impatto sulle capacità relazionali dei giovani? 

«Sì, sicuramente. L’avvento delle nuove tecnologie ha già cambiato la concezione di socialità riducendo in parte le occasioni di socialità riducendo in parte le occasioni di incontro tra i giovani. Inoltre l’emergenza Covid ha azzerato le occasioni di incontro fra i giovani e questo sicuramente a lungo andare li ha resi più insicuri, meno capaci di gestire la relazione dal vivo, anche per paura del contagio. Ovviamente se si va in contro a un’apertura alla socialità pian piano possiamo ritornare al nostro equilibrio. Nei soggetti più fragili ci possono essere comunque conseguenze più serie che vanno attenzionate».  

Parlando di sindrome della capanna, che conseguenze può avere e cosa comporta? 

«La sindrome della capanna, ovvero la paura di lasciare la casa che per mesi ci ha fatto sentire al sicuro, può comportare sintomi come depressione, disturbi del sonno, irritabilità. Quando ciò si verifica siamo alle soglie di un disturbo vero e proprio che va curato, rendendo le persone consapevoli che è necessario porvi rimedio. In questo contingente storico purtroppo l’isolamento tra le mura domestiche ci è stato prescritto diventando una normalità. Prescrizione che genera un altro rischio, quello di confondere normalità e patologia. Ci sono pazienti che chiamiamo “egosintonici” che sono poco o per nulla consapevoli di avere una patologia, ciò accade anche con la sindrome della capanna, quando ciò che sembra normale, diventa patologico perché suffragato da una realtà oggettiva che comporta il forte rischio che le persone più fragili possano perdere la consapevolezza della propria condizione». 

Quali sono i disturbi più frequenti emersi o alimentati dal periodo di isolamento? 

«Sicuramente un senso di tristezza, un disturbo depressivo e un’ansia generalizzata insieme a fobie e demotivazione e in alcuni giovani, i disturbi ossessivo-compulsivi. Sono frequenti anche i disturbi del comportamento alimentare, sebbene siano questi ultimi molto complicati, in quanto rappresentano un sintomo al quale sottendono diverse strutture di personalità che vanno trattate in modo diverso. In quest’ultimo periodo a proposito di disturbi alimentari si è assistito non solo a un incremento numerico, ma anche a un abbassamento della fascia di età media. Mentre prima l’esordio lo si riscontava intorno ai 13-14 anni, adesso si sta manifestando addirittura a 11-12 anni. Ad ogni modo la maggior parte delle persone è resiliente e non cade in una psicopatologia se non in determinate condizioni biologiche, psicologiche e socioculturali disfunzionali e senza il giusto supporto».  

Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai giovani che sentono la necessità di un supporto psicologico? 

«Sicuramente qualora ci sia un disagio non dobbiamo avere paura di chiedere una mano, bisogna imparare a chiedere aiuto. A volte anche un aiuto per un breve percorso può servire a ritrovare nuovi equilibri. A me piace pensare al criterio di falsificabilità di Popper, che ci prescrive di accettare come scientifiche solo le teorie empiricamente falsificabili per costruirne poi di più complesse. Questo vuol dire, tradotto nella nostra vita quotidiana, che i problemi si possono considerare come incubi da cui scappare oppure come un gradino su cui salire per diventare, anche attraverso la psicoterapia, persone più capaci di affrontarli e dunque crescere. I problemi in questo caso possono essere visti come opportunità di crescita e non come occasioni di involuzione e annichilimento ». 

di Silvia Barbato 

 

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