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Mar Mediterraneo: verso un orizzonte sostenibile.

  27 Aprile 2021

Protezione, recupero e transizione ecologica del nostro capitale naturale. Per Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli sono questi gli interventi da attuare per la conservazione dei nostri mari.

I cambiamenti climatici e l’impatto ambientale delle attività antropiche stanno determinando un progressivo impoverimento della biodiversità nel Mediterraneo. Intanto l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile rilancia la sfida per un mare più sano. Ma qual è l’attuale stato di salute dei nostri mari?

Che il Mediterraneo sia |la fortezza canuntène porte |addo’ ognuno po’ campare |d’a ricchezza ca ognuno porta […]

canta così Eugenio Bennato in Che il Mediterraneo sia e sul ritmo della taranta compone un inno al Mare Nostrum, culla di antiche civiltà, tradizioni e miti.

Eppure questo mare straordinario, ricco di habitat e di biodiversità, rischia di impoverirsi rapidamente a causa delle eccessive pressioni antropiche. La conseguenza immediata è che l’economia costiera e le attività dipendenti dal mare, dal turismo alla pesca, dovranno trasformarsi nei prossimi anni per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e ripristino delle risorse naturali. Una condizione indispensabile sia per la conservazione della vita nel Mediterraneo, che per la produttività delle attività umane. Secondo la Strategia Marina Europea entro il 2020 si sarebbe dovuto raggiungere un buono stato ambientale (GES, “GoodEnvironmental Status”) per le acque marine, obiettivo ancora troppo lontano e riproposto tra i goal dell’Agenda 2030 (Goal 14: Vita sott’acqua). Il Prof. Roberto Danovaro, Presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e “top scientist” mondiale nella ricerca dedicata a mari e oceani nel decennio 2010-2020, propone un’analisi dettagliata dello stato di salute del Mediterraneo.

Prof. Danovaro, quali cambiamenti sono in atto nel Mediterraneo dal punto di vista della biodiversità?

«Registriamo alcuni cambiamenti positivi ed altri negativi. Laddove si è intervenuto c’è stato un effetto positivo immediato sulla vita del mare. Quindi in molti casi oggi abbiamo organismi marini meno contaminati rispetto al passato. Altri aspetti sono peggiorati essendo aumentata la pressione sul mare e sul consumo del pescato. Le nuove tecnologie di pesca lasciano poco scampo rispetto agli strumenti più tradizionali di 50 anni fa. C’è dunque un primo impatto, quello della sovrapesca. Il Mar Mediterraneo, sta andando incontro a processi come il riscaldamento delle acque che porta a due effetti: il mare diventa sempre più povero, con una produzione limitata di materia organica da parte dei produttori primari, ovvero le alghe. Quindi è previsto che da qui al 2050 in molte regioni del globo vi sia una riduzione del 50% del pescato. Il riscaldamento inoltre si associa a un ingresso di specie non indigene, comunemente dette “aliene”, dagli ambienti tropicali».

Quali sono gli interventi prioritari da attuare per la conservazione dei nostri mari?

«Sono almeno tre gli interventi prioritari. Il primo è proteggere di più e meglio il nostro capitale naturale. Le tecnologie non sono sempre svantaggiose per la natura, quindi quello che l’uomo è stato in grado di distruggere, l’uomo lo può recuperare. Parliamo di un piano nazionale di recupero che dovrebbe essere operato anche per gli ecosistemi danneggiati dall’uomo. Pensiamo agli investimenti che l’Ue sta facendo nella Restauration Agenda. Il recupero è il secondo intervento dopo la protezione ambientale. Il terzo riguarda le politiche di transizione ecologica, da operare con una pianificazione delle attività di pesca, puntando su attività di tipo sostenibile. Bisogna proteggere, ripristinare e regolamentare».

In che modo possiamo contribuire a salvaguardare l’ambiente?

«È necessario orientare la politica con le proprie scelte, ovvero scegliere di comprare solo ciò che è sostenibile. Bisognerebbe impostare la propria alimentazione verso un pescato più sostenibile, come il pesce azzurro. Il secondo elemento è che la questione ambientale viene vista come un problema di ecologismo e non come un obiettivo posto dall’Europa e dal mondo. Tralasciando l’esperienza Covid, le conseguenze le paghiamo in patologie e in corsi sanitari. Abbiamo bisogno di capire che la salute dell’ambiente richiede delle scelte da parte dei cittadini. Andrebbe rinforzata un’educazione alla transizione ecologica, per capire che noi siamo natura e niente di diverso. Quest’idea deve permeare a partire dalle scuole primarie. Dobbiamo far sì che la coscienza ecologica entri a far parte della nostra cultura».

di Silvia Barbato

 

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