Diego Armando Maradona e… il calcio che fu
19 Gennaio 2021
Grazie Diego ci hai fatto immensamente felici. Da Napoli a Buenos Aires il dolore e la commozione per la sua morte che unisce il pianeta
Si, purtroppo è proprio vero: il più grande, il più amato, il più osannato, il più chiacchierato, ci ha lasciati soli il 25 novembre scorso, in piena pandemia mondiale, in un momento di disorientamento generale, avvelenando un quadro già fortemente compromesso, quasi a voler infliggere un colpo (quasi) definitivo al destino di tutti noi che mai lo abbiamo dimenticato: Diego Armando Maradona, nato a Lanus (Argentina) il 30 ottobre del 1960. Scrivere di un personaggio del suo calibro, specie ora che non è più con noi, sembra surreale, avendolo considerato sin dagli albori un atleta senza tempo, immortale, un “supereroe”, come bene è stato raffigurato in un’immagine social girata in questi giorni, tra le centinaia che hanno popolato la rete, scatenando una commozione planetaria incredibile. Nato poverissimo, uomo controverso, spesso sopra le righe, sempre contro il “sistema”, che voleva limitarlo, riducendolo al silenzio, quel silenzio di cui mai si è nutrito, volendo sempre affermare la sua idea, “capace di colpire con il mancino ma anche con la lingua” (cit. Angelo Carotenuto – Corriere dello Sport), amico di molti potenti della Terra, ma – neanche troppo sorprendentemente – in contrasto con i vertici del calcio mondiale. La sua carriera fantastica ha decisamente segnato un’epoca e disegnato un calcio mai visto prima, neanche da parte di campioni altrettanto celebrati come Pelé (in testa), detto semplicemente “O Rei” (rispetto al “Dios” argentino), squarciando i cuori dei milioni di fans che, sparsi in tutti i continenti, l’hanno amato, osannato, venerato, dedicandogli lacrime di gioia pura, sincera, struggente. Come dimenticare i sette anni fantastici trascorsi nella nostra città, contrassegnati da vittorie mai più conseguite (2 scudetti, una coppa Uefa, una coppa Italia, una Supercoppa italiana), le reti magiche, le traiettorie del pallone ai limiti delle leggi della fisica, l’entusiasmo trascinante, la gioia straordinaria donata ad ogni spettatore che ebbe (come me) il dono di assistere alle sue performance, “scritte nella storia” e impresse nel cuore di tutti. Raccontare Maradona, anche ora che la sua vita ha chiuso il cerchio, vuol dire, purtroppo, narrare anche di vicende già divenute oscure, come le modalità del decesso e la corsa ignobile alla sua eredità. Niente e nessuno ci porterà via il suo ricordo, troppa gratitudine – soprattutto da parte del popolo napoletano (come di quello argentino) – saranno vivi in ciascuno di noi che tanto l’abbiamo amato, e tanto ne rimpiangeremo l’utilizzo artistico della palla sul prato verde. Il S. Paolo, il “Suo” tempio, palcoscenico del suo immenso talento, non potrà non mutare denominazione (Stadio D. A. Maradona) e il popolo dei tifosi azzurri potrà così sentirsi meno solo e fiero di averne ospitato le inenarrabili gesta. Adios D10S, per sempre parte di noi.
di Antonio Di Luna