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Questo non è amore: #AlzalaVoce, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

  25 Novembre 2020

 

«Occorrono cambiamenti culturali per smettere di guardare alle donne come ‘cittadine di seconda classe’: dobbiamo creare una cultura di rispetto». Con questo obiettivo Michelle Bachelet, Vice Segretario Generale e Direttore Esecutivo di UN Women, ha istituito l’iniziativa della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. È stata l’assemblea dell’Onu nel 1999 a scegliere questa data in ricordo del sacrificio delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabel, uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo in Repubblica Domenicana. Una data che segna anche i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che precede la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre.

Ci sono alcuni numeri che parlano da soli e che hanno portato all’istituzione della giornata. Oltre cento paesi sono ancora privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70% delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. Alcuni passi nelle politiche nazionali sono stati fatti, ma molto rimane ancora da fare.

«Non c’è nulla che spaventa gli uomini della forza, del coraggio, delle capacità multiformi di una donna. Troppo spesso per incapacità, opportunismo chi ha paura delle donne finisce per relegarla ai margini», afferma Maria Elisabetta Casellati, presidente del Senato. Le cifre del rapporto Eures certificano un anno orribile, perché è stato l’anno del lockdown, l’anno che per migliaia di donne sono state costrette a restare in casa insieme al loro carnefice. Occorre fare una riflessione. 91 omicidi, uno ogni tre giorni, oltre 4mila procedimenti aperti sulle violenze di genere, 80 condanne su 90 processi conclusi. Dall’inizio dell’anno le denunce contro familiari e conviventi sono cresciute dell’11%. Dati che fotografano una situazione drammatica acuita dalla pandemia in corso. È sempre più urgente far sentire la voce delle donne contro l’aumento vertiginoso di stupri, femminicidi, violenze domestiche.

«Occorre rafforzare la cultura della parità, non ancora pienamente conseguita», ricorda in un messaggio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Se il lockdown sembrava aver frenato il trend, la violenza è esplosa subito dopo quando la riapertura non ha permesso più ai violenti di esercitati indisturbati il loro controllo. E così sono aumentati i maltrattamenti in famiglia, diminuiti invece i reati come stalking e violenza sessuale. Ma c’è poco da illudersi: i tre mesi di chiusura, in questo caso, hanno fatto da parziale freno. «Con il lockdown abbiamo involontariamente creato un disagio» ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ora servono azioni positive per le donne, perché la pandemia si è accanita soprattutto su di loro minandone anche l’autonomia economica: quasi mezzo milione hanno perso il posto di lavoro. Da un anno 4 nuovi reati provano a contrastare le violenze. Fanno riflettere i dati al cosiddetto revenge porn: 1083 inchieste aperte, significa migliaia di immagini intime diffuse in rete da fidanzati ed ex. Una violenza che riguarda ogni giorno due donne.

Moltissime le iniziative che in tutto il mondo cercano di promuovere una “cultura del rispetto”.  Come quella del liceo Elsa Morante di Scampia, dove è stata inaugurata la panchina rossa. Dall’inizio dell’anno, in Campania sono state uccise 7 donne. L’ultima Maria Tedesco aveva 33 anni, docente del liceo Morante: è stata freddata a colpi di pistola dal marito qualche settimana fa a San Felice a Cancello.

«Con le mascherine proteggetevi ma non dovete nascondervi, uscite allo scoperto, contattateci», questo l’appello di un Centro antiviolenza vesuviano. E proprio partendo da questo messaggio che, dal fine settimana, nelle farmacie ci saranno brochure con l’elenco di tutti i centri antiviolenza per chiedere aiuto. E nasce anche un Fondo Solidale per sostenere le donne che spesso non hanno il coraggio, la forza di denunciare perché non hanno la loro autonomia economica.

La Redazione

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