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Coscienza e conoscenza delle cose

  03 Novembre 2020

Antonio Parlati, direttore del Centro di produzione della Rai di Napoli, svela i suoi obiettivi.

Nella convinzione che la conoscenza sia «l’unico mezzo in grado di cambiare davvero le cose»

La cultura è la base di tutto. Per Antonio Parlati questo è il suo ago della bussola. Da cinque mesi è a capo del Centro di produzione di Napoli. E non si lascia irretire dalla facile trappola del potere. E alla domanda su quale sia il vero obiettivo da perseguire «occorre avere la coscienza e la conoscenza delle cose: la conoscenza intesa non come scienza ma proprio come conoscenza del problema, dei rapporti umani», risponde con spirito salomonico. E senza indugi. La sua carriera è venuta da sola, senza scalate, né corse affannose. Napoletano doc, amante della musica classica napoletana viene assunto in Rai nel 1984 e da allora ha sempre lavorato con impegno e determinazione fino a raggiungere i livelli più alti del vertice. All’incarico alla Rai di Napoli come direttore ha affiancato da anni quella di presidente della sezione Editoria Cultura e Spettacolo dell’Unione Industriali di Napoli. Classe, eleganza e professionalità e una sfumatura di signorilità napoletana. Questo è il suo segreto.

Dopo anni che sei stato il vice di Francesco Pinto, un direttore che ha dato un’impronta singolare alla Rai di Napoli, quali sono i propositi che vuoi intraprendere per un nuovo corso del Centro?

C’era una pubblicità della Zucchetti che mi piaceva molto in cui un omino cercava di tappare tutti i buchi. Ecco, mi sento un po’così. In questo momento la prima esigenza è quella di superare questa emergenza. Da una parte sono molto proiettato a garantire il massimo grado di sicurezza per i lavoratori del Centro e dall’altra quella di non perdere di vista la necessità che si cominci a ritrovare una normalità. Se mi avessero nominato tre mesi prima, avrei potuto ragionare e pianificare un nuovo percorso per il futuro della Rai di Napoli ma, purtroppo, la nomina è avvenuta in piena pandemia. L’obiettivo principale è uscire quanto prima da questa emergenza, auspicando nel futuro di realizzare progetti che porteranno il Centro al suo livello standard di produzione. Ora massima attenzione alla sicurezza, alla salvaguardia della salute dei lavoratori, di tutti coloro che in qualche modo lavorano con il Centro di produzione. Questo significa anche attenzione nel confezionamento di programmi, nell’occupazione degli spazi, nei distanziamenti, in tutte le procedure che hanno a che fare con le azioni per arginare questo maledetto virus.

In un momento di confusione governativa che la Rai sta vivendo anche i centri di produzione soffrono il riflesso di questa crisi, nello specifico la Rai di Napoli come sta affrontando questo stallo?

È chiaro che quando c’è una crisi che colpisce l’azienda intera di riflesso ne subiscono le conseguenze tutti settori e le direzioni e alla fine i centri di produzione. A Napoli abbiamo uno zoccolo duro che si chiama Un posto al sole che, in qualche modo, è una nostra garanzia di continuità. È chiaro che non ci si può fermare a questo. Il Centro di Napoli ha una peculiarità che deriva anche da una impostazione del mio predecessore, non essere un centro esclusivamente passivo ma molto presente e attivo sul territorio. Nei momenti di crisi e di difficoltà, tira fuori la testa e tenta di superare i problemi con proposte che possono essere prodotte.

Un posto al sole è il fiore all’occhiello della Rai di Napoli, in onda da più di 24 anni. Nuove produzioni?

Stiamo ultimando di registrare Reazione a catena che va in onda tutti i giorni su Rai1. Abbiamo da poco terminato Made in Sud e prossimamente utilizzeremo l’auditorium per un varietà di intrattenimento che andrà in onda su Rai2. Progetti che hanno subito nel format un adeguamento per il peso del Covid. Questo Centro è stato il primo a ripartire con produzioni che erano ferme. Ricominciare con Made in Sud, sebbene senza pubblico, con un programma che aveva tra comici e maestranze oltre 50 unità, più le maestranze aziendali Rai dedicate alla produzione, è stata una bella sfida in un momento in cui c’era ancora una chiusura totale. Ma Napoli non ha paura di affrontare questo genere di sfide. È chiaro che lo fa con la massima attenzione e con tutte le precauzioni del caso. Cosa che farà anche nei confronti delle nuove produzioni. Nella scorsa stagione facevamo il programma Stasera tutto è possibile che è proprio l’antitesi del distanziamento. Rifare un programma come quello significa riproporlo con nuove regole e accorgimenti nel format.

Dal Borgo di Santa Lucia che ti ha visto ragazzo a dirigente responsabile della Rai di Napoli. Quando hai capito di avercela fatta?

Penso che nella vita bisogna avere le occasioni, saperle cogliere ed avere anche un buon grado di fortuna, quella ti aiuta sempre. Sono entrato in Rai con la spensieratezza di un ragazzo di ventisette anni e non mi ero prefissato grandi obiettivi. Ho completato gli studi universitari che già lavoravo. Non sono un arrivista ma mi fa piacere, ovviamente, aver avuto avanzamenti nella mia carriera. Mi sono messo sempre a servizio dell’Azienda. Credo di aver usato alcune leve che sono nella mia indole: chi lavora con i manager deve innanzitutto imparare e poi deve avere una dote importante, la lealtà. Le cose che io ho messo sul campo, mi hanno ripagato. Non c’è una ricetta: questi sono gli ingredienti che avevo e li ho utilizzati. E poi c’è anche una dose di fortuna e di porte che si aprono quando meno te lo aspetti.

Nelle conferenze stampa Francesco Pinto diceva sempre «io faccio il direttore del Centro, Antonio Parlati è quello che lavora»…

Era questa la presentazione che faceva Francesco. Sono una persona a cui piace affrontare i problemi, mi piace fronteggiare la sfida. Non vado in competizione con le persone ma mi piace competere con il problema e risolverlo.

L’incarico di presidente della sezione Cultura dell’Unione Industriali è compatibile con quello avuto alla Rai di Napoli?

Credo di si, sicuramente farò più fatica rispetto a prima. Io non sono un uomo di grande cultura come il mio predecessore. Però, nel tempo, ho avuto modo di capire che la cultura è la base di tutto. I due incarichi infatti hanno in comune un unico denominatore: cultura e conoscenza. Queste due parole sono il fondamento del mio lavoro ed anche l’imperativo del mio stile di vita. Occorre avere la coscienza e la conoscenza delle cose. La conoscenza ti avvantaggia nella comprensione dei problemi perché ti aiuta ad affrontarli in maniera consapevole. Questo è stato il mio faro e lo sarà anche nel futuro.

di Daniela Rocca

 

 

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