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Lezioni online: preparativi per il futuro?

  21 Luglio 2020

La tecnologia è importante ma la lezione in presenza è necessaria. Il punto di vista della professoressa Manuela La Manna

L’emergenza legata al diffondersi di covid-19 ha influenzato le vite di coloro che l’hanno contratto, ma, in senso più ampio, quelle di tutti. Siamo stati colpiti lì dove pensavamo di essere più sicuri. Siamo stati costretti a reinventare quotidianità ed abitudini, pur di conservare l’apparenza di un’esistenza normale. È stato il caos e, per certi versi, lo è ancora. Ci avviamo ottimisticamente verso la fine di un periodo difficile, ma ancora per molto tempo non ci sarà concesso di riprendere dal punto in cui la nostra routine si era interrotta. I più colpiti dal blocco totale sono stati i lavoratori ed il settore dell’economia in generale. Però, anche i giovani che attualmente stanno completando la loro educazione, si sono ritrovati a doversi arrangiare con soluzioni di emergenza. Gli studenti di tutte le età hanno continuato a seguire le lezioni utilizzando piattaforme online. Ma se per gli universitari, che comunque vivono il disagio e sono tra le categorie più trascurate, può risultare più facile attrezzarsi grazie alla maturità acquisita con l’esperienza, i ragazzi che frequentano le scuole di ogni ordine e grado rischiano di veder seriamente compromessa la qualità della loro istruzione. Nel “Decreto Rilancio” è stata prevista un tipo di didattica provvisoria definita mista, in quanto prevede la presenza in aula solo di parte degli studenti, mentre l’altra metà seguirebbe le lezioni da remoto. Per fare il punto della situazione, abbiamo chiesto alla professoressa Manuela La Manna, docente di italiano e latino presso il liceo scientifico Armando Diaz di Caserta, la sua opinione a riguardo. «Trovo impraticabile l’idea di dividere la classe in due parti e di tenere metà degli alunni in aula e metà a casa, collegati da remoto. Vorrei, infatti, sottolineare che le nostre classi sono le cosidette classi pollaio, in cui il numero degli studenti è elevatissimo. Io, per esempio, ho anche classi con trenta alunni e, seppure le volessimo dividere, quindici ragazzi in aula sarebbero comunque troppi. Inoltre, spesso le nostre aule non hanno la necessaria metratura per garantire il distanziamento sociale».

La tecnologia può aiutare a “rilanciare” l’istruzione e la scuola italiana?

«La tecnologia è importante; ci ha permesso di continuare le lezioni in un periodo di emergenza. Io dico: menomale che c’è stata! Cosa avremmo fatto senza i mezzi tecnologici di cui disponiamo? Almeno così abbiamo mantenuto un legame con i nostri alunni e loro con noi. Però, trasformare l’eccezione in una regola e credere che svolgere le lezioni online equivalga ad innovare la scuola, è un pensiero che non mi trova d’accordo. Lo schermo crea una barriera fisica con gli studenti e allora noi, come docenti, tentiamo di mantenere viva l’attenzione in ogni modo facendo molta più fatica del solito. In classe io posso abbracciare con lo sguardo e con la voce i ragazzi, mentre da remoto non so mai se la mia voce arriva in ritardo, se tutti mi stanno ascoltando, e soprattutto non ho un contatto diretto con i loro occhi. Anche gli sguardi sono importanti. Ripeto, per me la lezione in presenza è necessaria. È una condicio sine qua non. Non esiste processo educativo e formazione se non in presenza. In questo momento il problema principale è come fare per ritornare tra i banchi di scuola a settembre».

E gli alunni cosa ne pensano, cosa gli manca di più della scuola?

«Innanzitutto avvertono la freddezza del mezzo, l’aridità di questo atto comunicativo. Per quanto ognuno si possa sforzare, ai ragazzi non arriva quella carica emotiva che invece si trasmette dal vivo. Alcuni mi hanno detto che svolgere le lezioni così è disumanizzante. E ancora tanti lamentano il senso di solitudine, la mancanza di confronto. In classe si diventa una piccola comunità che si riunisce in un determinato luogo per fare una determinata cosa, e i ragazzi sentono la mancanza del gruppo».

I professori sono stati in grado di reagire all’emergenza?

«In base alla mia personale esperienza vedo ovunque, da parte dei colleghi della mia scuola e non solo, un grande impegno. Stanno facendo tutti del loro meglio. Tutti attivi, tutti coinvolti, nessuno è fuggito di fronte alle difficoltà. E poi, oltre all’aspetto professionale, c’è anche quello umano. I docenti sono preoccupati per gli studenti più in difficoltà, che non riescono a seguire adeguatamente. Io, per esempio, ho degli alunni che non hanno la webcam o che hanno una connessione scarsa, e cerco di fare il possibile, nel loro interesse, per metterli nella condizione di partecipare attivamente. Ma non è facile. Adesso la valutazione è l’ultima delle nostre preoccupazioni. Le prime preoccupazioni sono: tenere il contatto con i ragazzi, non farli sentire soli e continuare a contribuire al loro percorso formativo. Gli infermieri e i medici sono i veri eroi di questa emergenza, perché rischiano la propria vita, ma un grande sforzo lo fanno anche i docenti e gli alunni, che hanno mostrato grande maturità e spirito collaborativo. Mi auguro quanto prima di tornare in classe, perché, la buona scuola non la fanno né tablet, né i programmi digitali, ma i buoni professori».

A volte il progresso può anche essere la causa di un involontario regresso. Sarà necessario trovare soluzioni per rendere la scuola un luogo sicuro e frequentabile. La tecnologia è stata di grande aiuto in questi mesi, tuttavia non c’è miglior modo di investire se non nelle strutture che riescono a valorizzare i rapporti umani.

di Marco Cutillo

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