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Nuvole della Sanità

  08 Luglio 2020

Un’orchestra giovanile nella Sanità che trova ispirazione da un grande visionario, il maestro Josè Antonio Abreu

In questi giorni di grandi domande senza risposte, abbiamo cambiato spesso la direzione dello sguardo. Forse più spesso di prima abbiamo guardato le nuvole. Per me guardare le nuvole significa ripensare al capolavoro di Pasolini: “Che cosa sono le nuvole?”. In quel film c’è tutto: il teatro, il razzismo, la violenza sulle donne, la guerra, e poi Totò/Jago che dice: “Noi siamo in un sogno dentro un sogno”.

In un periodo di incubi con risvegli faticosi è stato bello sapere che anche chiusa in casa avrei potuto alzare gli occhi e guardare le nuvole. In una di queste interminabili giornate a casa le nuvole mi hanno fatto compagnia. Sono salita in terrazza e avvolta da un piumino leggero, le ho fissate cercando solo storie. Nessuna domanda nessuna risposta. Solo storie. Mentre me ne sto a guardare le nuvole sento il suono di un violino e poi di un altro… sono nel cuore della Sanità. Mi chiedo se a suonarli sono i ragazzi dell’orchestra giovanile Sanitansamble: un’orchestra dove gli strumenti hanno dimensioni più grandi dei ragazzi che li suonano.  La musica mi commuove, questi ragazzi mi commuovono.

Dal 2008 un gruppo di maestri, musicisti professionisti, segue un progetto di orchestra giovanile nella Sanità. Paolo Acunzo, che li dirige, è una persona straordinaria, un sorriso aperto su un atteggiamento serio e professionale, come chiunque abbia a che fare con le aspettative ed i sogni dei giovani deve avere. Il progetto prende ispirazione da un altro grandissimo visionario eccellente: il maestro Josè Antonio Abreu. Quest’omino dall’apparante aria tranquilla è stato capace di creare una delle orchestre più importanti del mondo: l’Orchestra Sinfonica Giovanile Venezuelana. Il progetto ambizioso che questo grande uomo e musicista è stato capace di realizzare non riguarda solamente l’apprendimento e la pratica della musica strumentale da parte delle classi di giovani più disagiate dell’America Latina, ma la creazione di un sistema di vita.

“El Sistema”, infatti, ovvero un metodo che insegna ai giovani la promozione sociale e culturale, fu fondato nel 1975 e la sua sopravvivenza negli anni è la maggiore testimonianza di questo successo. Molti allievi sono diventati a loro volta insegnanti, qualcuno è riuscito pure a calcare palcoscenici di importanza internazionale, perché il talento e l’impegno hanno sconfitto la nascita sfortunata in un contesto che spegne i suoi giovani troppo frequentemente nella delinquenza e nella morte. I ragazzi suonano circondati dalle loro famiglie, dai loro amici; il contesto tutto partecipa di questa musica insieme a loro. Dai balconi non sono la sola che applaude e sorride.

Napoli è un luogo pieno di musica. La comunità si fa carico di questa bellezza di cui si riconosce la necessità, soprattutto adesso. Questi giovani sono dei musicisti, hanno costruito un’identità che li fa sentire “qualcuno”. Sì, perché quando dei ragazzi si dedicano alle attività illegali, spesso lo fanno per sentirsi “qualcuno” perché entrare in una organizzazione criminale darà loro un’identità, prima ancora che un reddito.

La banda ti dice chi sei, che sei importante, che vali perché sai essere crudele, forte, spietato. Ora immaginate che forza, abilità, bravura non vengano dal fatto che si sappia sparare, ma dal fare una cosa così difficile come suonare un oboe! Che sei qualcuno perché sai fare qualcosa di così difficile e complicato come suonare un contrabbasso. La difficoltà di questo apprendimento che, sotto gli occhi della loro famiglia, questi ragazzi fanno ogni giorno, li rendono pure un “modello” per nucleo familiare e comunità. È un incoraggiamento alla possibilità del sogno perché, vedete, molti di questi ragazzi prima di pensare alla sua realizzazione si negano pure la “possibilità” del sogno. Come Abreu ha sottolineato tante volte, la cosa peggiore della povertà, infatti, è “essere nessuno”, non avere identità, non avere stima pubblica. Un lungo applauso conclude, adesso, l’esibizione. Ciò è potuto accadere solamente perché qualcuno è andato “ogni” giorno da questi ragazzi, in questo quartiere, perché ha tenuto duro alla fatica, allo sconforto che talvolta ti prende, al lavoro improbo di stare dietro a qualcuno per insegnare la disciplina, l’ordine, la costanza che comporta fare questa musica. La ricompensa di questa fatica si legge negli occhi e nella musica di questi giovani che si godono l’applauso sorridendo. Sorridono anche le nuvole.

>  di Barbara Napolitano

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