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Ripensare il futuro delle città

  03 Luglio 2020

Un confronto con la sociologa Lucia Cavola e l’architetto Alberto D’Urso

A partire da fine Gennaio 2020 il mondo intero si è trovato a fronteggiare un’emergenza che ha riaperto il dibattito sulla crisi della globalizzazione e le sue conseguenze sull’ambiente.In una fase tanto incerta iniziare a immaginare prospettive per il futuro è indispensabile. Solo unendo la creatività ad una progettualità pronta e pragmatica si potrà visualizzare la ripresa come un target tangibile. Il 27 aprile è una data che difficilmente dimenticheremo. Si apriva la cosiddetta Fase2, ufficialmente iniziata il 4 Maggio, allentando le restrizioni precedentemente imposte dal Governo. Quasi un secolo fa, in un’Italia altrettanto sconvolta e in bilico tra le due grandi guerre, moriva Antonio Gramsci. Era il 27 Aprile 1937.

Cento anni fa come oggi, l’esigenza delle persone era quella di immaginare la ripresa e creare gli strumenti per renderla possibile. Gramsci lo fece nel numero unico di “Città Futura”, il giornale nel quale delineava il compito di ricostruzione della società. Lo stesso compito oggi spetta a noi: poter immaginare la città del futuro, adottare nuove strategie per la vita durante e dopo il lockdown. La sociologa Lucia Cavola e l’architetto Alberto D’Urso hanno provato a disegnare una prospettiva della città futura, immaginando scenari di ripresa sociale e lavorativa.

Come cambierà la fisionomia delle nostre città? Ci saranno sempre più barriere per mantenere il distanziamento?

D’Urso: «Non riesco a immaginare un ristorante in cui una serie di pannelli ci dividano l’uno dall’altro o una chiesa con separatori. Io punterei a rieducare la popolazione al distanziamento ma senza aggiungere barriere fisiche, affinché l’esperienza del Covid possa abituarci a nuovi stili di vita».

In che modo lo shock causato dall’isolamento influirà sull’interazione sociale?

Cavola: «L’isolamento ha sollecitato dentro di noi la possibilità di guardare dentro noi stessi e trovare le risorse che sono necessarie per uscire da questa situazione. Sociologicamente parlando, la caratteristica della resilienza mette in risalto tre qualità umane che sono il coraggio, la tenacia e la speranza, quelle qualità che Bauman definiva “armi umane”. Dovremmo armarci di nuove visioni, per esempio sostituire la competizione con la cooperazione e la condivisione e ciò potrebbe creare un progresso non più basato sull’accumulo di beni ma sulla costruzione di solide relazioni tra gli esseri umani. La speranza è che possano liberarsi nuove energie come empatia, solidarietà, fiducia, condivisione per l’evolversi di una nuova coscienza cooperativa».

Come influiranno le nuove modalità lavorative come lo smart working e il telelavoro sulla nostra vita?

D’Urso: «Immagino la nascita di nuovi spazi polifunzionali: creare più funzioni in situazioni preesistenti. Ciò che noi vediamo già con i bistrot collegati a librerie o con le aree di ristorazione all’interno dei musei. Bisogna creare più funzioni all’interno degli ambienti, capire le esigenze del consumatore e mettere a disposizione degli spazi con più vocazioni. Si dovranno anche incentivare le politiche per il trasporto alternativo, come i bikesharing o le piste ciclabili, quindi sfruttare possibilità già a nostra disposizione che dovremo potenziare e pubblicizzare».

Cavola: «Lo smart working comporta diversi vantaggi. Sia per le aziende poiché si possono ridurre gli uffici, possono diminuire i costi aziendali. Poi ci sono vantaggi per i lavoratori, si ritiene che ci sia un aumento della soddisfazione e della motivazione. Inoltre c’è anche il vantaggio della riduzione di tempo e costi degli spostamenti, di organizzazione dei tempi di vita e di lavoro e anche di innalzamento delle competenze digitali. La formula che potrebbe più facilmente affermarsi è quella di un ufficio diffuso, con un lavoro ripartito tra ufficio, casa ed altri luoghi, come gli spazi di coworking».

Quali modifiche subiranno gli spazi aggregativi nelle nostre città?

D’Urso: «Alcune strutture come gli stadi saranno inevitabilmente penalizzate in questa fase, ma si potrebbe pensare di attivare misure di contingentamento nei teatri e nei musei. Ogni struttura deve essere considerata singolarmente in base alle proprie caratteristiche, sempre nel rispetto della sicurezza. Lo spazio aggregativo si potrà trasformare ma non penso ci sarà un cambiamento radicale. Ciò che cambierà sarà la fruizione di questi spazi perché le persone dovranno imparare a sfruttarli in maniera diversa, più consapevole».

Dovremmo incrementare le aree verdi sul paesaggio urbano per migliorare la vivibilità delle città?

D’Urso: «Pensando a Napoli possiamo notare la differenza negli interventi di riqualificazione che sono stati fatti a Via Toledo e a Piazza Municipio. Mentre Via Toledo ha mantenuto una vocazione commerciale ma è interamente pavimentata in pietra lavica, a Piazza Municipio sono stati fatti degli interventi più sensibili con giochi d’acqua e isole verdi che migliorano la vivibilità. Ciò influenza la preferenza dei cittadini nel frequentare quel luogo. La prerogativa commerciale di una strada è importante ma altrettanto lo è creare delle alberature che consentono una piacevole frescura oltre a migliorare l’ambiente».

In che modo saranno influenzati i consumi durante e dopo il lockdown?

Cavola: «Siamo in un momento di crisi senza precedenti che coinvolge sia la domanda che l’offerta. In questo periodo di lockdown i consumi sono certamente stati segnati dalla ricerca di sicurezze. Probabilmente con la ripresa alcuni bisogni latenti rientreranno nelle priorità dei consumatori, ma non è detto che le cose tornino come prima, le famiglie saranno più prudenti, verrà limitato il consumo del superfluo. Si sono modificati anche i modi di consumare, con un’impennata dell’e-commerce ma anche dei servizi di delivery e take away. Tutto ciò potrebbe risultare utile anche per proteggere l’ambiente, potremmo sperimentare vie più sostenibili. Posso avanzare la speranza di usare questa crisi per ricostruire e produrre qualcosa di migliore, di più umano. Facendo appello alla resilienza dovremmo provare a trasformare questa crisi in un’opportunità per una nuova crescita non solo sociale ma anche civile, culturale ed economica per l’Italia. Occorre una grande capacità di visione».

Resilienza, visione, progettualità, umanità, sono le parole chiave che apriranno le porte della città futura. Ci aspetta un mondo in cui le idee dovranno correre più veloce, nel frattempo mettere la vita in pausa servirà a creare un nuovo spazio per sognare ad occhi aperti, disegnare la pagina bianca davanti a noi.

di Silvia Barbato

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