Persone

home > Persone> Una foto ricordo

Una foto ricordo

  15 Maggio 2020

Custodiamo la nostra presenza nel mondo

Il tempo che trascorro osservando, catalogando, rimaneggiando, salvando o buttando via foto è un tempo significativo della mia vita. Questo tempo è diviso in due parti: uno dedicato alla foto digitale, una foto che “scatto ora”, e che contestualmente decido di mantenere o di buttar via a seconda che la ritenga una buona o una cattiva foto; un altro tempo, invece, è riservato alla foto “analogica”, confezionata con un solo scatto, scoperta solo al momento dello sviluppo, esposta spesso nella sequenza di un album, ma anche sparpagliata, e tenuta a conserva negli archivi familiari. Molte di queste immagini mi restituiscono sensazioni ed esistenze di persone che non ci  sono più, mi riportano a tempi in cui potevo toccare loro in luogo della fotografia, spesso mi portano via per ore senza che me ne accorga. Anche la scelta della loro catalogazione, la sequenza che esprimono nell’impaginato spesso soggetto alla tirannia di epoche ed eventi, finisce per attrarre e conservare per tempi indebiti la mia attenzione.

Il rapporto continuamente cercato con le immagini, immagini tutte indissolubilmente legate al passato, dal momento che una volta effettuato lo scatto il momento già non è più, mi consentono di sopportare meglio l’idea del non esserci. Per me, dunque, la foto è memoria, al contrario di quanto afferma Barthes nel suo Nota sulla fotografia, però, non è una memoria che esclude tutte le altre informazioni che non sono contenute all’interno della foto. Da questa immagine, in sostanza, si rintracciano tutta una serie di dati che portano il soggetto a ricostruire eventi e situazioni non necessariamente evidenti dalla foto, ma che da questa partono per arrivare a comporre la storia di una famiglia, di una società.

Nel romanzo di Jonathan Coe, La pioggia prima che cada, la ricostruzione delle vicende di una famiglia disgregata sono affidate a venti fotografie, accuratamente scelte dalla narratrice, protagonista del romanzo che, nell’arco temporale di cinquanta anni ricompone oltre che le proprie vicissitudini, anche il quadro di un’epoca, dei suoi cambiamenti, delle trasformazioni in atto nel tempo di mezzo alle due guerre mondiali. L’autore si impegna pure in una descrizione “tecnica” della foto (una foto in bianco/nero, piuttosto che a colori, una immagine con diversi gradi di profondità con soggetti posti su piani diversi, e così via), perché anche queste caratteristiche divengono importanti quando le fotografie si analizzano come documenti di importanza storica e sociale.

Per quanto riguarda me, la mia foto, è un documento utilizzato in maniera terapeutica: una foto attraverso la quale io rinnovo continuamente il mio esserci nel mondo, rinnovo la presenza di coloro che hanno fatto parte della mia vita e contestualmente promettono anche a me di esserci per chi dalla foto mi osserverà, promettono anche a me di sopravvivermi in qualche modo.  E oggi? Sono forse troppo antica io nelle mie percezioni, per immaginare una fascinazione da Tik Tok. Riuscite a fantasticare di una agile ottantenne, che osservi rapita, con gli occhi luccicanti, una riproduzione, magari ologramma, del Tik Tok di un suo genitore?

Faccio fatica perché non mi pare ci sia qualcuno che eserciti la conservazione di questo patrimonio. D’altra parte siamo talmente sepolti dalle immagini che scattiamo ogni momento con il telefonino, da rendere complicato considerare VALORE qualcosa che non abbia a che fare con il presente e con il subito. Propongo allora attraverso queste pagine di creare un archivio cittadino nel quale far confluire tutte quelle immagini che riteniamo significative della nostra vita, della nostra famiglia, della nostra città, della nostra cultura. Vedrete come in realtà tutti questi elementi si incastrano tra loro. Ponendo però un limite di venti: solo venti foto stampate. È il mio modo di incoraggiare l’importanza, il valore della Storia. Raccontiamo i sentimenti, raccontiamo le emozioni. Rifondiamo la nostra presenza nel mondo: già si intravedono i danni di un mondo senza memorie.

>di Barbara Napolitano, regista

condividi su: