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Coronavirus, dazi e frenata tedesca

  10 Aprile 2020

Le incertezze planetarie espongono le imprese al rischio di una crescita al ribasso.

La Cina ha reagito in maniera molto decisa, nell’affrontare la nuova epidemia dovuta alla diffusione del coronavirus, portando ad un blocco di molte attività, con la drastica ed improvvisa riduzione dei movimenti di merci e persone. Questo ha prodotto ottimi risultati dal punto di vista sanitario, con l’adozione di contromisure in grado di contrastare efficacemente il diffondersi del virus, che però al contempo non hanno fatto bene all’economia che sta rallentando. La Toyota, azienda leader nel settore automotive, ha prolungato la fermata degli impianti. Analoga decisione per molti altri colossi dei settori dell’alta tecnologia. Inoltre, la riduzione dei viaggi e degli scambi commerciali, stanno isolando il paese, generando un calo del 15% della produzione dell’industria petrolifera.

A pagare un conto particolarmente pesante saranno i consumi interni del paese. Chiusure e riduzione delle attività sono state annunciate da tutte le principali grandi catene, Adidas, Nike, Ikea, McDonald’s, Starbucks, Burberry, Michael Kors e Versace, i cui effetti negativi saranno ancor più visibili nel corso dell’anno. Per il 2020, gli esperti, stimano al ribasso la crescita del prodotto interno lordo al 5% contro il 5,7% ipotizzato prima della diffusione dell’epidemia. Ma è l’effetto che si ripercuoterà sul resto dell’economia globale a preoccupare ancora di più. Nel primo trimestre dell’anno, gli Usa potrebbero perdere sino a 0,4 punti di Pil, oltre 0,35 punti la Germania e 0,3 punti l’Italia. Quando si sviluppò la Sars nei primi anni del nuovo millennio, il peso economico della Cina nello scacchiere mondiale non era quello di oggi, ecco perché allora si ebbe la perdita solo di alcuni decimi di punto nella domanda aggregata. Nel frattempo, anche l’economia tedesca rallenta già dallo scorso anno: la manifattura tedesca sta soffrendo dei venti di protezionismo che soffiano nel mondo. Se il commercio mondiale rimarrà in tensione a lungo, come è probabile, visto lo scontro tra Stati Uniti e Cina, il modello tedesco fondato sostanzialmente sull’export è destinato a entrare in una crisi seria, probabilmente di tipo strutturale. Va male la produzione, soprattutto quella dell’auto e l’intera Europa rischia di rallentare, coinvolta in un complesso effetto di contraccolpi che vedono agire contemporaneamente le tensioni globali dovute al virus-Cina, agli Usa di Trump e alla Brexit. Gran parte delle economie europee sono strettamente interconnesse e fanno pivot negli scambi con la Germania. Ecco perché le oscillazioni del Pil e la debolezza politica tedesca non possono essere sottovalutate.

Vi è però da dire che l’economia è comunque solida, ha un Pil importante e resta in ogni caso una delle più importanti economie mondiali. D’altra parte, anche in Francia, la crescita è pesantemente rallentata, soprattutto a causa dei lunghi mesi di scioperi. Il Pil francese registra su base annua un calo della produzione industriale del 3%. Ma il Paese che, a cascata, rischia maggiori ripercussioni dalla frenata industriale europea è l’Italia. Le novità dello scenario economico globale possono cancellare nel 2020 il timido percorso di crescita degli ultimi tempi, del resto invertitosi già nell’ultimo trimestre del 2019. La Germania assorbe il 13% delle nostre esportazioni e da esse proviene il 17% delle importazioni italiane. Le auto tedesche, infatti, utilizzano anche pezzi meccanici italiani, soprattutto quelli più all’avanguardia. Inoltre, il comparto manifatturiero italiano rischia di rallentare anche per una politica di investimenti nell’adozione delle nuove tecnologie, troppo legata al breve periodo. Il cosiddetto Piano Industria 4.0, viene rinnovato annualmente con la legge di stabilità e talvolta anche con significativi cambiamenti nelle policy di defiscalizzazione. Questo approccio non consente agli imprenditori ed ai manager di avere una visione chiara di medio termine su cui basare degli investimenti che dovrebbero innovare delle tecnologie e dei modelli ancorati per la maggior parte a best practices oramai datate.

Se a tutto ciò si aggiunge l’ulteriore impatto del coronavirus, che riguarderà sia l’indotto di fornitura dell’industria italiana sia il settore del turismo e del commercio, aree in cui la Cina riveste una componente importante dell’economia italiana, non si prevede, almeno a breve, l’uscita dall’attuale fase di stagnazione.

di Francesco Castagna, imprenditore e docente di ingegneria economico-gestionale.

 

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