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L’intelligenza artificiale potrebbe minacciare il nostro lavoro futuro?

  30 Ottobre 2019

L’umanità è sempre più ossessionata dall’intelligenza artificiale e le storie di fantascienza, raccontate attraverso libri, fumetti, film e serie TV, rappresentano la prova più concreta di questa preoccupazione. Ogni anno, infatti, la tecnologia diventa sempre più “intelligente”, in quanto gli algoritmi di autoapprendimento dei computer stanno migliorando a un ritmo rapidissimo. Nel 1950, Alan Turing, scienziato informatico e matematico inglese, riuscì ad elaborare il cosiddetto Test di Turing.

Essenziale ma efficace, il test era in grado di valutare quanto un essere umano potesse confondere una conversazione con una macchina con quella che si potrebbe avere con un altro essere umano. Per avere risultati significativi occorrerà però a tendere il 2014, quando Eugene Goostman, ovvero un chatbot che imitava un adolescente ucraino, è riuscito a convincere 10 giudici su 30 di una prestigiosa istituzione scientifica che si trattava di una persona reale, interagendo con loro, attraverso una serie di chat online della durata di cinque minuti. Successivamente nel 1955, il professore John McCarthy del MIT, definisce per la prima volta, il concetto di intelligenza artificiale (IA) e durante la sua permanenza al MIT, istituisce un laboratorio di intelligenza artificiale in cui ha sviluppato il linguaggio LISP, un linguaggio di programmazione informatica per la robotica progettato espressamente per offrire un potenziale di espansione man mano che la tecnologia progredisce nel tempo. Nonostante alcune “macchine” dell’epoca mostrassero sin da subito dei risultati promettenti, dalla prima persona robotica “Shakey the Robot” nel 1966, agli androidi antropomorfi WABOT-1 e WABOT-2 dell’Università di Waseda, solo con Rodney Brooks nel 1990 l’idea di intelligenza artificiale viene rivitalizzata ed elaborata per come la intendiamo oggi.

Infatti, nel suo articolo “Gli elefanti non giocano a scacchi”, Brooks evidenzia che l’approccio più corretto all’IA, sarebbe stato non più quello di progettare e realizzare macchine in grado di svolgere compiti “top-down” sempre più avanzati come ad esempio suonare il piano oppure elaborare complessi problemi matematici; l’IA dovrebbe focalizzarsi sulla relazione tra la macchina ed il mondo circostante, o come suole dirsi essa dovrebbe avere un approccio “dal basso verso l’alto”. Uno dei maggiori progressi di questa nuova logica consiste nella capacità di essere intuitivi nella pianificazione e nella risposta ai compiti. Forse la più grande svolta in questo senso sì è avuta nel 2016 quando AlphaGo, il programma personalizzato sviluppato dall’unità AI DeepMind di Google, ha battuto il miglior giocatore “Go” del mondo. Lo storico gioco da tavolo cinese era stato a lungo considerato una delle maggiori sfide dell’IA, per la grande varietà di mosse possibili che richiedevano ai giocatori di valutare e reagire in innumerevoli modi diversi per ogni turno. Il fatto che un programma informatico sia stato finalmente in grado di sfidare questo livello di “umanità” è stata una vera sorpresa, persino più di quanto abbia fatto il campione di scacchi Deep Blue di IBM quando ha battuto Garry Kasparov nel 1996. Grazie a questo enorme balzo in avanti dell’IA, gli esperti prevedono che presto vedremo un nuovo sistema di intelligenza artificiale in grado di vincere le World Series of Poker in soli due anni. Non solo, ma la stessa tecnologia reattiva è attualmente allo studio del settore bancario con dei nuovi chatbot, destinati a sostituire tutti i servizi internet e telefonici bancari nel giro di pochi anni.

E cosa accadrà agli altri settori lavorativi? Una recente ricerca della società Gartner ipotizza che l’85% delle interazioni con i clienti nel commercio al dettaglio sarà gestito dall’intelligenza artificiale entro il 2025. L’altro 15%, principalmente il processo di vendita “umano”, richiederà un periodo di tempo più lungo con il 2031 quale stima più vicina per la sostituzione completa. La sfida più grande sarà quella di garantire che l’intelligenza artificiale non comporti l’estinzione di massa di numerosi settori lavorativi e quasi certamente questo richiederà l’adozione di una nuova legislazione, oltre al fatto di dover ripensare il mercato del lavoro nel suo complesso. Tuttavia, abbiamo già assistito in passato a cambiamenti, a volte anche molto bruschi, che hanno integrato i progressi della tecnologia in una varietà di settori, dall’agricoltura al settore bancario.

In definitiva, considerando che una delle maggiori sfide per qualsiasi sistema di intelligenza artificiale sarà la capacità di reagire in modo situazionale piuttosto che semplicemente seguendo algoritmi, questa mancanza di intelligenza emotiva nell’IA, dà agli umani l’unico vantaggio rispetto ai robot e per poterlo mantenere, dobbiamo garantire che il nostro set di abilità rimanga aggiornato e “complementato” rispetto a quello delle macchine.

> di Francesco Castagna

Extended Faculty MIP-Politecnico di Milano

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