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Nord o Sud, si fa presto a dire bufala

  10 Giugno 2019

Oggetto di una secolare disfida campanilistica, rinverdita dalle rivendicazioni leghiste di qualche tempo fa, l’origine della mozzarella di bufala è da sempre avvolta nel mistero.

Da tempo circolano sul prelibato formaggio tre teorie legate alla diffusione della bufala in Italia: la prima sostiene la presenza autoctona dell’animale nella nostra penisola da tempi remotissimi, la seconda la lega alla dominazione longobarda e l’ultima all’introduzione della “vacca egiziana” ad opera dei Saraceni con la complicità dei Normanni che nel XII secolo colonizzarono il Meridione.

Per fare un po’ di ordine sarebbe meglio dire che un fondo di verità, con qualche dubbio sulla prima, esiste in tutte le tre teorie.

I Longobardi provenivano dalla Pannonia, che nel settimo secolo era una vasta regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava e che prende il nome dalle terre paludose che la caratterizzavano.

A causa delle frequenti dispute con gli Avari ed altri popoli barbari, i Longobardi, guidati da re Alboino, furono costretti a valicare le Alpi e a stanziarsi nella pianura padana e poi nel resto dell’Italia portando con loro, secondo quanto riferito nel IX secolo dal monaco dell’abbazia di Montecassino Paolo Diacono, le bufale, utilizzate come bestie da soma per traghettare le zattere lungo i fiumi navigabili e per arare i campi, anche se non ci sono fonti dell’epoca che attestino già una produzione di latticini.

Successivamente alla sconfitta patita dal re Desiderio nella battaglia di Pavia ad opera di Carlo Magno, i Longobardi, considerati i primi unificatori dell’Italia, dovettero trasferirsi verso Sud in cerca di territori non controllati direttamente dai Franchi, occupando i ducati di Spoleto e Benevento, formalmente proprietà del Papa, e collocandosi a nord e a sud di Napoli creando successivamente per motivi dinastici il regno longobardo-capuano e il regno longobardo-salernitano.

In Campania non essendoci fiumi da navigare, le bufale trovarono un habitat congeniale per la propria sopravvivenza nelle paludi nei dintorni di Capua e nella piana del Sele, dove il loro allevamento consentiva di sfruttare al meglio terreni inadatti a qualsiasi altro uso agricolo.

La prima testimonianza scritta riguardo alle “mozze” risale però solo al XII secolo, in epoca normanna, in quanto ci si riferisce all’offerta di questi latticini fatta dalla principessa longobarda Isoara e realizzate presso il convento dei benedettini di Aversa oltre che a delle offerte di pane e mozza fatte dai monaci ai visitatori.

In realtà la produzione casearia del latte di bufala era all’epoca incentrata sulla produzione di provature (provole), ossia un formaggio fresco affumicato prodotto per favorire la conservazione ed il trasporto di grosse quantità di un latte che, non consumato fresco, non avrebbe altrimenti potuto essere utilizzato. Con questa testimonianza  ci ricolleghiamo alla terza teoria, quella delle vacche egiziane: infatti nel frattempo i Saraceni, provenienti dalla Libia, avevano importato i bovini dall’Egitto in Sicilia e per le complesse vicende che a quell’epoca vedevano continue invasioni e capovolgimenti di fronte, i Normanni, che controllavano il territorio in maniera più stabile,  avevano trasferito le bufale nel resto del Mezzogiorno peninsulare e fondato la città di Aversa, dove la produzione di mozzate diventò prassi comune non più solo appannaggio dei monaci.

Quindi lo scenario che possiamo verosimilmente configurare è quello di una produzione iniziata nell’ambiti dei monasteri benedettini intorno all’anno Mille ed in particolare nel convento di San Vincenzo al Volturno, oggi in provincia di Isernia, e poi trasferitasi nel casertano, dopo che le frequenti incursioni saracene avevano spinto i monaci del suddetto convento a spingersi più a sud, appunto ad Aversa, per godere di maggior protezione.

Da allora la diffusione della mozzarella non ha più conosciuto soste: dalle mense dei papi rinascimentali in poi, attraverso una serie di alti e bassi nell’allevamento delle bufale fino alla definitiva valorizzazione ad opera dei Borbone con la vaccheria di Carditello, arriva ancora oggi a ricordarci che inventata a nord o a sud è espressione della cultura monastica che ha sempre < unito il nostro paese.

> di Giovanni Serritelli

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