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Le terme e la fabbrica: paradiso in riva al mare

  16 Maggio 2019

Le palazzine liberty e la villeggiatura delle famiglie napoletane

Oggi il pontile nord è un “tappeto volante” sul mare

La prima giornata di sole di questo inverno infinito, mi avvio verso il mare, ché le ossa e la pelle ne hanno bisogno. Stavolta vado a Bagnoli, ci arrivo con la Cumana, affondo le mani nelle tasche del cappotto perché fa ancora freddo, ma volgo la faccia verso il sole. 

Il cielo è di un azzurro così nitido, che pare solido. Cammino tra le case basse di via Silio Italico, me le ricordo, queste strade, quando ero bambina, i muri, i portoni, i balconi erano tutti rossi di ferro, quel ferro che dava da mangiare a tutti, da queste parti. Veniva dal “mostro” che con una mano dava e con l’altra pigliava, l’Italsider. 

La notte, di tanto in tanto, il respiro del mostro arrossava il cielo, la colata di acciaio era una specie di eruzione a tempo e i ragazzi, nelle sere di primavera, si appostavano sugli scogli, con una birra, un tarallo e una chitarra per guardare quello spettacolo 

Ora le casette sono bianche e rosa, il mostro giace inerte, ma le ferite restano. E la gente fatica a trovare un’altra via, un’altra identità. Prima erano un corpo unico: erano Operai, condividevano pane, lavoro e lotte. 

Qui le strade rimandano a quel passato millenario, si chiamano Via Acate, Via Eurialo, Via Niso, e il passato me lo sento addosso, quello di Enea, che da queste parti passò per andare dalla Sibilla Cumana. La costa è così bella che deve aver commosso persino il profugo Troiano. Da qui Nisida quasi si tocca. L’isola delle capre, dove secondo alcuni vivevano i Ciclopi, è un cerchio quasi perfetto con il cerchio della caldera al centro, perché è di un vulcano che stiamo parlando, l’ennesimo dei Campi Flegrei.  

Scendo a passi lenti verso il mare e ho in mente i racconti di mia nonna che da queste parti ci veniva in villeggiatura e mi raccontava delle tante terme, e dei vestiti candidi delle ragazze dei primi del ‘900: “Un paradiso era, bella mia, devi credermi”, così diceva, e io ci credo. E lo immagino il passeggio elegante in riva al mare, e le vedo, le ragazze affacciate ai balconcini delle case liberty del lungomare e i giovanotti con la paglietta. E nelle foto della nonna si vedevano i bei palazzi delle Terme Manganella, nella piazza, e quelle Tricarico, ma ce ne erano tante altre.  

Il sole si abbassa, e il cielo diventa meno solido, si vela di bianco e io mi avvio verso il pontile, o meglio “il pontile nord” come lo chiamavano quelli dell’Italsider, all’inizio, guardo a destra e saluto “Pasqualone” una sorta di totem come quelli dell’isola di Pasqua, pure lui guarda il mare, è un’istallazione di Giancarlo Neri che, aiutato dagli operai, realizzò l’opera con materiali di scarto dell’ex acciaieria. E cammino su questo nastro lunghissimo, su questo tappeto volante sul mare e man mano che procedo, i rumori e i sapori della terra si allontanano e lasciano posto a quelli del mare. L’oro sull’acqua è quasi a portata di mano, l’odore della salsedine sempre più intenso e lo spettacolo è una meraviglia: si vedono Nisida e Coroglio, il golfo di Pozzuoli, Capo Miseno, Procida e Ischia, che con questa luce sembrano l’illustrazione di un libro di fiabe. Giro su me stessa e il vento mi smuove i capelli, il bello è dappertutto. E passeggiare in mezzo al mare è la mia cura. 

> di Floriana Tursi

 

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