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Mangiafoglia, la cucina ritrova le sue (sane) radici

  06 Febbraio 2019

Conosco da un bel po’ di anni Stefano Civita: da compagni di liceo abbiamo condiviso la passione per le motociclette, all’epoca rigidamente Guzzi. Poi giornalisticamente l’ho seguito nella sua professione di ingegnere. Mi stupisce (ma non troppo) che un uomo avvezzo a calcoli, tecniche, edifici e motori sia riuscito a coniugare, con grande sensibilità è gusto, la grande cucina con le più autentiche radici gastronomiche meridionali.

Non ha caso Mangiafoglia, il nome scelto per il suo ristorante (ma chiamarlo così è fuorviante) di via Carducci, dove un tempo c’era una libreria, identifica una vera e propria filosofia di vita più che lo stile alimentare adottato dal popolo napoletano fino al XVI secolo: i napoletani erano grandi consumatori di ‘foglie’, dove per foglia s’intendeva quel complesso di alimenti afferenti alla famiglia del cavolfiore e delle sue sottospecie: cavolo cappuccio, cavoletti, cicoria, scarole, broccoli.

Oggi, andati via i libri, c’è un altro tipo di cultura, quella dei saperi, dove il gusto racconta la storia, e non solo. Il ristorante nato dalla volontà di Stefano e di suo figlio Federico, di rappresentare la napoletanità, vede oggi rinnovata il proprio menù, sempre mantenendo fede alla filosofia del Mangiafoglia, con l’innesto e la creatività di Costanza Fara, chef di origini sarde, che reinterpreta i piatti della tradizione napoletana in una chiave del tutto nuova. Una cucina semplice, basata sulla ricerca dei prodotti di eccellenza. Il rispetto della stagionalità e commistioni con altre culture, soprattutto quella sarda.

Ecco dunque cavoli e verze, crema di baccalà, torzelle, vellutata di cavolfiore, funghi cardoncelli e porcini, peperone crusco, quest’ultimo è un prodotto tipico lucano molto diffuso anche nell’entroterra campano.

La cena, al tavolo del padrone di casa, è stata introdotta da Alici del Cantabrico e burro dei Monti Lattari, Coste di sedano con polpa di ricci (veraci, non in scatola), Millefoglie di pane guttiau con tonno affumicato, bottarga e misticanza di verdure (ecco la Sardegna che incontra la Campania), Insalatina di arancia, finocchio, filetto di tonno sotto’olio e cipolla di Tropea. Il tutto accompagnato da Lila Irpinia Falanghina Doc 2017 della Tenuta Cavalier Pepe.

Per i primi torniamo in Sardegna con Spaghetti al nero di seppia con carciofi, bottarga e muggine affumicato di Cabras, seguiti dai Ravioli con torzelle, pinoli, uvetta e caciocavallo (applausi). Questo secondo step vede in abbinamento il Bianco di Bellona Irpinia Coda di Volpe Doc 2017 (Cavalier Pepe).

A seguire Involtini di verza con crema di baccalà ai profumi mediterranei, accompagnato da un Refiano Fiano di Avellino Doc 2017. A chiusura il dessert con il Cerri Merry, vino aromatizzato alle amarene.

Mi piace il rito del Mangiafoglia, la mise en place e la cura dei tempi e dei modi, con un prezzo realmente accessibile per un’esperienza salutare e di gusto. Parte del successo si deve anche a Milena Pepe, che con grinta e tenacia porta avanti l’azienda vitivinicola di famiglia, ed a Raffaele Rubinacci, di Gustose Delicatezze, sempre alla ricerca di nuovi spunti culinari e prelibatezze, provenienti da ogni angolo del mondo.

Bene a fatto Costanza Fara ad attraversare il Tirreno, creando un ponte tra due realtà gastronomiche, quella isolana e quella meridionale, che hanno molti punti in comune (tutti da scoprire) per la costruzione di un nuovo angolo visuale mediterraneo.

E bene a fatto Stefano Civita a sottrarre un po’ di tempo all’ingegneria per indicare a napoletani e turisti che fare ristorazione è soprattutto stile ed armonia, e che realmente è possibile un’alternativa a pizzerie e ristoranti della tradizione.

Un vero sasso nello stagno della cucina napoletana, dove c’è troppo fumo e poco arrosto!

Francesco Bellofatto

(foto di Gianni Cesariello)

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