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Palazzo Donn’Anna: lo scrigno dei segreti

  31 Ottobre 2018

Dall’aspetto austero e imponente, Palazzo Donn’Anna sembra guardare Napoli e la sua brulicante vita come sospeso in un’altra dimensione.

Ubicato all’inizio di Via Posillipo, la sua costruzione è datata nella prima metà del 1600 sulle fondamenta di un edificio preesistente, il cui nome era “La Sirena”, inizialmente di proprietà del marchese e rimatore partenopeo Dragonetto Bonifacio, poi appartenuto a vari proprietari, di cui l’ultimo in ordine temporale fu Luigi Carafa di Stigliano, nonno di Donna Anna Carafa, alla quale si deve appunto l’erezione di Palazzo Donn’Anna.

Questo è quanto storicamente documentato, tuttavia leggende risalenti al periodo angioino hanno come ambientazione proprio il tratto di costa dove sorge oggi il palazzo. Tradizione vuole, infatti, che la Regina Giovanna II fosse avvezza a trascorrere notti di passione con i pescatori più avvenenti, per poi ucciderli all’alba. Racconti popolari tramandati per via orale narrano che la sovrana, invaghitasi di un tale Beppe, pescatore di Santa Lucia noto per le sue doti amatorie, avesse fatto costruire in zona Posillipo una dimora che ella stessa chiamò “Villa delle Sirene”, nella quale volle verificare, al sicuro da occhi indiscreti, la fama del suddetto pescatore.

Sembra che il tête-à-tête tra la sovrana e il giovane durò ben tre giorni al termine dei quali il pescatore si accinse a tornare alla sua vita e al suo borgo. Il malcapitato non avrebbe mai potuto immaginare di non uscire vivo dalla villa, avendo la regina predisposto una serie di trappole per evitare che egli tornasse tra la sua gente e rivelasse i compromettenti incontri con la sovrana: si racconta che il pavimento si aprì come una botola, facendo sprofondare nel mare il pescatore mentre si apprestava a lasciare l’edificio. Tutto sarebbe filato senza intoppi per la regina se non fosse stato per Stella, fidanzata di Beppe che, non rassegnandosi alla scomparsa dell’amato, maledì la sovrana e chiunque avesse abitato nella villa dopo la morte di lei.

Stando alla tradizione, la maledizione si abbatté violenta su Giovanna ed effettivamente si perpetuò anche dopo il suo decesso, tant’è che nel XVII secolo Anna Carafa, moglie di Don Ramiro Felipe Núñez de Guzmán, Duca di Medina Las Torres e Viceré di Napoli, entrata in possesso della villa, la fece letteralmente demolire per costruire sulle sue fondamenta quello che oggi è appunto Palazzo Donn’Anna.

Eretto nel 1642 su progetto di Cosimo Fanzago, secondo i canoni del barocco napoletano e in linea con le tecniche costruttive dei palazzi veneziani, l’edificio presenta un doppio punto d’ingresso, uno via mare e l’altro via terra. Per la sua costruzione furono spesi 150.000 ducati ed impiegati per due anni 400 operai, tuttavia Palazzo Donn’Anna fu inaugurato ancora incompiuto e per l’occasione fu organizzata una grande festa, cui presero parte tutte le famiglie nobili della città.

Il periodo a cavallo tra la prima e la seconda metà del 1600 vide infatti una rifioritura dell’arte e della cultura, spesso ostentate per sottolineare lo splendore e la grandezza della monarchia spagnola. A tale scopo per l’inaugurazione di Palazzo Donn’Anna fu preparato uno spettacolo teatrale i cui attori furono scelti tra gli ospiti stessi. Si racconta che Donna Mercedes de Las Torres, nipote del Viceré e procace donna spagnola, ebbe il ruolo di una schiava innamorata invano del suo padrone, interpretato a sua volta dal Principe Gaetano di Casapesenna. La scena finale prevedeva il salvataggio del padrone da parte dell’indomita schiava ed un bacio tra i due interpreti che, a quanto pare, fu però tutt’altro che accennato, anzi così passionale e reale da suscitare la gelosia e le ire di Donna Anna, ex amante dell’uomo, unica spettatrice a non tributare l’applauso a fine spettacolo. Stando alla tradizione, seguirono all’episodio diverse scaramucce tra le due donne finché la giovane Mercedes scomparve nel nulla. Si disse ufficialmente che avesse preso i voti e per tale ragione il Principe di Casapesenna non si diede pace, cercando senza sosta la sua amata senza però mai riuscire a trovarla, per poi perdere la vita in battaglia. Fu allora che molti iniziarono a vociferare che la bella spagnola fosse caduta nel trabocchetto di Villa delle Sirene e leggenda vuole che nel palazzo si vedano ancora il fantasma di Donna Anna e quelli dei due sventurati amanti, Mercedes e Gaetano, destinati persino post mortem a non ritrovarsi mai.

Il palazzo non fu mai completato per via della prematura morte di Donna Anna nel 1645, da fonti storiche sembrerebbe a causa del tifo petecchiale, durante la rivolta di Masaniello, cui seguì la temporanea caduta del vice regno spagnolo e la fuga del viceré verso Madrid. L’edificio rientrò poi nei possedimenti del primogenito di Donna Anna e passò in seguito attraverso vari proprietari che di volta in volta lo adattarono ad un uso diverso. Nei secoli le stanze del palazzo hanno ospitato una fabbrica di cristalli, una trattoria, una fonderia per proiettili da caccia e sono state usate finanche come stalle per i cavalli.

Oggi il palazzo è frazionato in vari condomìni; non è visitabile ed è lontanissima la possibilità di una sua utilizzazione a scopo museale, pur essendo state le sue mura spettatrici di momenti salienti della storia partenopea.

Il palazzo custodisce al suo interno un teatro completamente scavato nel tufo, ora sede della Fondazione De Felice, rivolto con tre lati verso il mare la cui vista è incorniciata da tre arcate, mentre il quarto lato è costituito da una parete con motivo a serliana, ovvero un susseguirsi di archi a tutto sesto separati da doppia colonna, chiaro richiamo all’architettura veneziana barocca, da cui il Fanzago trasse ispirazione per creare una sorta di galleria con vista sul Vesuvio, sulla Costiera Sorrentina e su Capri.

L’edificio è lì, oggi come allora, incastonato in uno scoglio tufaceo a picco sul mare, accessibile ai curiosi solo approdando con piccole barche sulla spiaggetta antistante ad esso e confinante con lo storico Bagno Elena. Impossibile non essere attratti dal suo magnetismo. Palazzo Donn’Anna si fonde perfettamente con le vestigia delle “domus” romane che si ergono imperiture lungo il tratto di mare posillipino, senza però insinuare mai in chi lo ammira la sensazione di trovarsi di fronte ad un rudere. Tutt’altro, Palazzo Donn’Anna incanta ed infonde nell’osservatore la certezza che le sue mura continueranno a custodire il prezioso passato partenopeo, la stessa consapevolezza che persuase Matilde Serao a scrivere “Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie, poiché l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode”.

>  di Aurora Rannella

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