Musica

home > Musica> PIETRO CONDORELLI: UN FILM SUL LINGUAGGIO JAZZ

PIETRO CONDORELLI: UN FILM SUL LINGUAGGIO JAZZ

  05 Gennaio 2018

Songs, Ideas & Jazz: la visione del compositore sull’estetica e l’essenza del suono.

Da tempo custodisco come un tesoro un piccolo capolavoro, il DVD “Songs, Ideas & Jazz” di Pietro Condorelli, prodotto dallo stesso Condorelli, da Francesca Masciandaro e Claudio Borrelli per l’Associazione “Bagaria”, dal quale parte l’idea di una conversazione di approfondimento sui temi della composizione contemporanea e jazzistica.

GDS: “Ricordare le mie idee… dare ordine al movimento”… con questo statement comincia il tuo nuovo lavoro, teso, evidentemente, tra memoria e conservazione (o ‘archiviazione’, se preferisci…): qual è il tuo rapporto con il passato?

PC: Mentre nell’atto dell’improvvisazione l’idea del flusso di coscienza è evidentemente il principale aspetto della comunicazione, e questo sembra riguardare in prima istanza l’esecutore e appunto le sue memorie, i suoi fantasmi, in qualche modo il suo mondo interiore, diverso è l’approccio quando si lavora sul piano compositivo, sia dal punto di vista musicale che per ciò che concerne i testi. Nel produrre senso in questo secondo caso, sempre di più il compositore dovrebbe tentare di non affidarsi ad uno scellerato solipsismo, bensì tener presente quello che gli Strutturalisti della Scuola di Praga consideravano, ossia: la comunicazione è nel mezzo; ci dobbiamo pertanto riferire ad una collettività e condividere con essa anche parte della nostra memoria.

GDS: I tuoi compagni di percorso nel film sono gli stessi delle tue ultime apparizioni ‘live’: Simona Boo, (voce), Francesca Masciandaro, (flauto), Domenico Santaniello (contrabbasso) e Claudio Borrelli (batteria). Raccontami del tuo rapporto con questi valenti partners…

PC: I musicisti scelti da me per questo progetto sono in effetti insostituibili. Ognuno di essi è perfettamente calato nel ruolo che gli compete. Ho operato la mia scelta con musicisti che già conoscevo e coi quali mi sentivo di condividere non solo il gusto per la musica d’improvvisazione, la forma canzone e la bellezza estetica del suono, ma anche e soprattutto una visione della vita.

GDS: I testi, dimmi qualcosa che aiuti il lettore a collocarli e a ‘tracciarli’…

PC: I testi di “In a beat ground” sono citazioni, stralci dall’opera di Jack Kerouac, precisamente da “On the road” e “La nascita del bebop”. L’idea alla base di questa scelta era quella di coniugare in una fashion teatrale le parole e la musica, ottenendo così un ulteriore risultato  che rimanda ad un periodo passato della radiofonia italiana, quando spesso alcune opere teatrali venivano ridotte con lo scopo divulgativo. Ma se questo poteva funzionare per celebrare l’epopea di Parker e Monk, ovviamente non era adatto laddove la mia intenzione era di comunicare qualcosa di personale, e pertanto ho dovuto iniziare a scrivere a mia volta…

GDS: Lennie Tristano è un riferimento esplicito nel film… un testo recitato sia nei ‘lives’ sia nel film esplicita il legame, ma io vorrei sapere quali suoi stilemi entrano o vengano ‘citati’ nella tua musica.

PC: In primo luogo, Tristano è stato un didatta che affiancava ad un metodo rigoroso uno al contempo sperimentale, segnando così una delle infinite strade che portano alla didattica moderna. Non posso pertanto prescindere dall’idea di poter considerare transitori scivolamenti nell’armonia cromatica, così come prendere atto dell’importante vitalità ritmica, robusta e virile, che caratterizza molta della musica di Tristano, il suo geniale modo di utilizzare armonie preesistenti al fine di creare una composizione artisticamente nuova ed originale, così come l’esperienza catartica del liberare talvolta il musicista dai vincoli della forma e dell’armonia.

GDS: Qual è il tuo rapporto con la musica contemporanea o, se preferisci, con ‘le’ musiche contemporanee?

PC: Ho avuto la fortuna di studiare per alcuni mesi con Franco Donatoni a Bologna, e all’epoca è stato come incontrare un mito di cui ascoltavo le opere a Radio3 Rai. Nella mia adolescenza, prima ancora di ascoltare jazz, ho passato un periodo in cui mi ero invaghito di lavori fatti alla ricerca dell’essenza del suono, anche musica elettronica. Mi rendo conto oggi che in effetti, a parte alcune forme musicali che non mi hanno mai convinto, non ho mai avuto preclusioni rispetto a tutte le altre.

> di Girolamo De Simone

condividi su: