Letture in corso: QUASI SIGNORINA di Cristina Portolano
26 Aprile 2017
“Presi consapevolezza di dover convivere con quest’aspetto naturale della vita.
Per nascondere la debolezza di quei giorni decisi di mostrarmi più forte di come, in verità, ero. Insomma, feci i conti con l’essere “signorina”. Fu il mio modo di reagire. La verità è che mi dispiaceva tantissimo di non essere più bambina”.
Con queste parole si conclude “Quasi signorina” di Cristina Portolano.
Parole il cui senso impregnano tutto il libro di quella che solo superficialmente può essere considerata un’autobiografia.
Questo fumetto, infatti, indaga uno dei momenti cruciali dell’esistenza umana, ossia il passaggio dall’età infantile a quella adulta: “nessuno fino ad ora”, rivela la Portolano, “aveva affrontato questo tema, contestualizzandolo a Napoli, all’interno di un fumetto e da un punto di vista femminile. Trovo poi che sia molto raro trovare, nelle narrazioni dedicate a un pubblico giovane, racconti e rappresentazioni di riti di passaggio di questo tipo che mescolano anche scoperta della propria sessualità e dubbi sulla religiosità”.
“Quasi signorina” può considerasi un viaggio nel paese delle meraviglie, dove le meraviglie sono date dalle continue scoperte che la Cristina bambina vive: la propria casa, il proprio quartiere, i famigliari, la scuola; insomma, tutto quello che pian piano è svelato dalla vita a un essere umano di pochi anni. La Portolano, però, non cade mai nella trappola dell’autocompiacimento, anche quando critica le suore del suo asilo. Così, il richiamo a svariati fatti di cronaca, dalla strage di Capaci al suicidio di Kurt Cobain, che una televisione sullo sfondo di tanto in tanto segnala, è finalizzato solo a collocare storicamente (la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta) il racconto.
Allo stesso modo Napoli, dove la storia è ambientata, è disegnata senza rinchiudersi negli stereotipi dei detrattori a priori o degli esaltatori miopi. La città è descritta attraverso quei luoghi e quei simboli che costituiscono i punti di riferimento della protagonista. Esemplificativa, a tal proposito, la figura di Maradona, utilizzata non in quanto mito calcistico, ma al pari dell’allucinazione di Bogart in “Play It Again, Sam”, quasi a voler creare con il lettore un dialogo sincero e intimo. L’idea di Maradona, precisa l’autrice, “nasce dall’esigenza di trovare un’icona capace di rappresentare l’ascesa e il declino ideale di una città. È uno stratagemma per riportare il discorso, al di là del tempo narrato, su un piano più universale, ma anche per presagire ciò che la protagonista vivrà negli anni successivi”. Molto suggestiva è, infine, la scelta dei colori delle tavole che conferiscono all’intreccio narrativo un’aura a metà strada tra il ricordo e il sogno. “Volevo che rimandassero all’idea di azzurro Napoli e della pietra di tufo. In questa ricerca mi ha aiutata una foto di me e mio fratello da piccoli in cui ci sono questi colori: non ho fatto altro che prenderli con il “contagocce” e trovare la loro corrispondenza con quelli del pantone in Photoshop. Appena li ho provati sulle tavole mi sono piaciuti subito, mi davano un senso di malinconia, di ricordo lontano, nitido ma impalpabile”.
> di Roberto Colonna