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Le metropoli di Arash Radpour così la città diventa immortale

  20 Ottobre 2016

L’artista iraniano ci racconta la sua vita girovaga. “Ma qui a Napoli è tutta un’altra cosa”.

Una casa-studio situata nel cuore della Sanità, il quartiere verace di Napoli, laddove ogni angolo racconta una storia e nasconde i segreti di una cultura senza tempo.

È qui che l’artista iraniano Arash Radpour ha deciso di stabilire il suo open space, dove l’intimità del suo privato si confonde con la pubblicità dei suoi lavori.

Nato a Teheran nel 1976, Radpour lascia il suo Paese quattro anni dopo, quando i suoi genitori scelgono l’Italia, in particolare Roma, per fuggire dagli sconvolgimenti della rivoluzione iraniana. Una scelta che si rivela cruciale per la sua carriera e che lo porta a iscriversi alla scuola di cinema Rossellini, dove approfondisce i segreti della fotografia. All’inizio si dedica alla realizzazione di book fotografici per attori e modelli nella Capitale. Poi, dopo una serie di importanti campagne pubblicitarie per i prestigiosi clienti di un’agenzia pubblicitaria, Radpour fa un incontro fondamentale con Matteo Basilè, artista contemporaneo romano con il quale realizza la sua prima vera mostra curata da Vittorio Sgarbi nella Palazzina di caccia di Stupinigi, a Torino.

L’irrequietezza tipica di ogni artista lo porta a trasferirsi per un periodo a New York. Con pochi soldi in tasca e una macchina fotografica digitale regalatagli dalla mamma, Radpour riesce a inserirsi nei più esclusivi salotti intellettuali della città e a costruire piano piano un archivio importante, grazie al digitale che gli permette di fare ricerca senza spendere molto. Il trasferimento da una comoda sistemazione nel West Village al pavimento di un alloggio di un amico in un campus universitario del Bronx lo costringe, da insonne, a esplorare la New York notturna e a catturarne i paesaggi suggestivi, che diventano l’oggetto del suo primo vero lavoro fotografico artistico, come pura ricerca e non per commissione. Lavoro che suscita l’interesse di collezionisti del calibro di Graziella Lonardi Buontempo.

È poi la volta di Milano, città dall’anima fortemente commerciale che non ha mai realmente ispirato l’artista iraniano. Le fotografie scattate in quei due anni lo dimostrano: sono cupe ed evocavano l’immagine di un incubo. La proposta di un amico di seguirlo a Napoli e l’incontro in città con l’artista napoletano Michele Iodice sono tanto provvidenziali da permettergli di rientrare nel circuito dell’arte. E così inizia l’idillio con la città, che tuttora continua.

«Napoli è molto stimolante dal punto di vista culturale – sottolinea Radpour –, meta ambita da molti artisti contemporanei internazionali. Ho ricevuto un’accoglienza calorosa ad ogni livello. Dal pizzaiolo al professore universitario, tutti qui a Napoli hanno una storia da raccontarti e informazioni da condividere».

Cerca di cogliere l’anima di una metropoli mai scontata nei suoi scatti. «Se dovessi identificarla con dei colori, sceglierei i toni caldi del rosso e del giallo. Ma poi, mi rendo conto che il colore che è emerso naturalmente nei miei scatti è il blu. Quel blu del cielo, perché a Napoli ce n’è tanto. Ricevo sollecitazioni continue in questa città piena di mistero».

Sollecitazioni che sono confluite in una prima mostra allestita a giugno nella sua abitazione-studio e una seconda a settembre nella galleria di Dino Morra. E che stanno trovando espressione anche in un nuovo campo fino a ora inesplorato: i video creativi.

E chissà come sarà la nuova Napoli vista dallo sguardo in movimento di Arash.

> di Giulia Savignano

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