Persone

home > Persone> Catello Maresca, una vita spesa nella lotta alla criminalità

Catello Maresca, una vita spesa nella lotta alla criminalità

  16 Giugno 2016

Le sconfitte e le vittorie del pubblico ministero che ha sfidato il boss Zagaria, smantellando il clan dei Casalesi con la sola tenacia di andare avanti

Catello Maresca, Pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli dal 2007, in questi anni ha coordinato importanti operazioni contro il clan dei Casalesi e condotto all’arresto, tra gli altri, del superlatitante Michele Zagaria. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la passione e la tenacia che mette nel suo lavoro.

Dottor Maresca, nonostante i suoi tanti impegni, è sempre alla ricerca di nuove sfide, come riesce a coordinare il tutto?
Parto dal presupposto che non si può considerare adempiuto completamente il proprio dovere se l’obiettivo non lo si raggiunge. Lo considero un mezzo fallimento anche se la colpa non è direttamente mia. Se è possibile fare qualcosa io devo almeno provarci, anche per avere la coscienza pulita nei confronti dei miei quattro figli a cui non voglio lasciare questa realtà. Bisogna scendere in campo, sempre.

Come?
Serve una strategia comune di intervento dove ciascuno offra qualcosa per la società, altrimenti si rischia il fallimento. Per iniziare, però, serve un’analisi: partire dai tanti modelli positivi ed esportarli nei quartieri difficili. Sono almeno trent’anni che si parla del fenomeno delle famiglie disagiate, ma la situazione è invariata proprio perché manca l’analisi. Non esiste, ad esempio, una sorta di anagrafe del disagio: non sappiamo ancora quartiere per quartiere qual è il livello di degrado, quante famiglie disagiate vi abitano. Quindi, prima di avviare qualsiasi iniziativa, è utile acquisire dei dati e in questo l’Università potrebbe aiutarci investendo in tesi e ricerche. Naturalmente per vedere i frutti ci vorranno anni, ma bisogna iniziare ad investire nel sociale.

Giudice lei vive sotto scorta con tutti i limiti che questo comporta, la scelta di diventare pm della DDA di Napoli come è nata?
Tutto quello che ho fatto lo rifarei e mi ritengo fortunato della mia vita professionale in quanto ho avuto modo di vivere delle esperienze importanti. Sicuramente il tutto è avvenuto anche per una serie di congiunture, come il fatto che il giudice Raffaele Cantone, prendendo una strada diversa, ha lasciato scoperto un ruolo che poi io sono andato ad occupare. Ho dovuto imparare velocemente. Sono stato nominato in DDA a fine ottobre 2007 e ad aprile 2008 mi sono ritrovato a dovermi occupare della fuga dagli arresti domiciliari di Giuseppe Setola. A maggio avevo già la scorta.

In questi anni intensi di attività qual è stata l’indagine più bella e quale la più triste?
Cominciamo dalla più bella cioè la cattura del boss Michele Zagaria, latitante da 16 anni, capoclan dei Casalesi, un personaggio quasi mitologico, di cui si ignoravano anche le fattezze fisiche. E’ stato bello anche perché è stata un’indagine che ho attivato, impostato e concluso con la mia squadra in meno di quattro anni. Certo, difficoltà ce ne sono state, perché un paio di volte (novembre 2010 e aprile 2011 ndr) abbiamo creduto erroneamente di aver raggiunto l’obiettivo. In questi casi bisogna avere la capacità di elaborare la sconfitta, il “lutto investigativo” e trarre qualche elemento utile per proseguire le indagini. Difatti nel dicembre 2011 abbiamo raggiunto la cattura.

Quali sono le indagini più difficili da coordinare?
Le più complicate sono quelle che riguardano i rapporti con l’imprenditoria e la politica, perché esiste una modalità operativa che si è sedimentata nel tempo, soprattutto in certi territori. Parlo in special modo della provincia di Caserta dove lavoro.  In questi luoghi è difficile capire il confine tra aggressore e aggredito perché le mafie hanno compiuto il vero salto di qualità
riuscendo ad ingannare tutti gli interlocutori del gioco, a partire dall’imprenditore a cui gli viene offerta la possibilità di saltare la fila e non agire in un regime di libera concorrenza come dovrebbe accadere in un uno stato di democrazia.  
La mafia, invece, garantendo una forma di sicurezza privata, riesce a sedere in quei posti congeniali al progetto criminale. Io sono solito dire che il mafioso si traveste da politico, si toglie la coppola ed indossa doppio petto e grisaglia ed entra nelle stanze del potere facendo un doppio danno perché oltre a non raggiungere il bene comune contribuisce a creare l’idea, nella generalità dei consociati, che la politica è marcia. Io, però non amo generalizzare.

Purtroppo, infatti, anche nello Stato si riscontrano episodi mafiosi…
C’è chi rema contro ma bisogna avere la capacità di esigere comportamenti seri e coerenti. Oggi manca una linea chiara di intervento, invece serve ripristinare la responsabilità politica.

Dottor Maresca ha mai paura?
Tantissime volte, ma anche quella va messa a sistema. Un mio pregio è avere la testa dura, la tenacia. Sin da piccolo non mi è mai piaciuto perdere, neanche quando giocavo a calcio con gli amici nel parco, quindi grazie a questa determinazione sono riuscito a superare le sconfitte. La paura tende a paralizzarti, ma se ti fai travolgere significa che hai perso, perché loro questo vogliono. La mia voglia di non perdere mi fa superare questo ostacolo e procedere con il mio lavoro.

Recentemente ha manifestato il suo disappunto su taluni comportamenti di alcune associazioni antimafie, vuole chiarire al riguardo la sua riflessione?
Io credo tantissimo nel volontariato e stimo tutti i volontari delle associazioni che si spendono quotidianamente perché ci credono veramente, indipendentemente dall’ambito in cui operano. Secondo me, però, quando interviene una forma di professionismo in una realtà che dovrebbe essere fatta per uno spirito di volontariato possono nascere dei problemi. Ebbene io ho lanciato un allarme che riguarda l’antimafia sociale, avvertendo che bisogna intervenire e riorganizzare questi enti, soprattutto quando entrano in gioco tanti soldi ed interessi.

Qual è a breve termine il suo desiderio maggiore?
Al momento la mia aspirazione è cercare di trovare dei momenti in cui mi sia consentito di isolarmi, di godere di una situazione tranquilla; riposare dai pensieri e da questa voglia spesso eccessiva di fare perché è davvero faticosa.

> di Claudia Prezioso

condividi su: