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Storie perse nel vento

  28 Aprile 2016

La grotta di Seiano tra cielo, mare e archeologia

Quando Ferdinando II delle Due Sicilie scorse l’ingresso di quella che era chiamata la grotta di Seiano, rimase a dir poco sbalordito. Re bomba – così chiamato perché, dismessi gli iniziali abiti del liberale, punì, in più occasioni, con le cannonate il popolo colpevole di aver osato ribellarsi alle sue volontà – aveva alfine trovato la soluzione per collegare la piana di Bagnoli con il vallone della Gaiola. Il suo stupore si accrebbe quando, sbucato, non senza pericolo, dall’altra parte del traforo, scoprì, oltre a un panorama suggestivo, le vestigia di un’imponente villa romana, con tanto di teatro, odéon e i resti di una diramazione dell’acquedotto del Serino per far arrivare l’acqua corrente. Era quello che cercava, la passeggiata perfetta per i facoltosi e nobili turisti stranieri che in quegli anni, spesso, visitavano il Regno (i celebri Grand Tour). In pochi mesi, la galleria fu messa in sicurezza costruendo dei solidi archi usati come contrafforte, e lasciando, lì dove era possibile, l’intelaiatura originale. In questo modo, fu ridato vita a un gioiello di ingegneria civile capace di sposarsi con il paradisiaco ambiente circostante, fatto di mare, falesie, scogli, Vesuvio, Capri, Miseno e tanto altro ancora. Del resto, Publio Vedio Pollione, il primo proprietario della villa che si affacciava sulla baia dei Trentaremi, non aveva scelto la zona a caso. E fu lui, qualche decennio prima della nascita di Cristo, a far scavare dal grande architetto Lucio Cocceio Aucto il tunnel. Certo, allora, la burocrazia e le pratiche illecite permettevano ancora che una galleria di quasi un chilometro, scavata nel tufo con picconi e scalpelli a un ritmo di cinque metri al giorno, potesse essere realizzata in soli due mesi.

I continui crolli che si verificarono dopo la sua edificazione costrinsero tuttavia il prefetto Lucio Elio Seiano a commissionare una profonda risistemazione della struttura che fu pertanto rafforzata nei suoi assi portanti e allargata in modo da poter consentire il passaggio contemporaneo delle carrozze in ambo i sensi di marcia. Paradossalmente, l’arrivista e spietato Seiano, condannato da Tiberio a “damnatio memoriae”, riuscirà, comunque, a essere ricordato dai posteri proprio per merito di questa grotta.

La caduta dell’Impero romano portò all’abbandono di tutta l’area e anche la grotta visse secoli di decadenza e oblio, prima di essere riscoperta dal penultimo Borbone re di Napoli. Da allora in avanti, la grotta di Seiano è diventata tappa obbligata per chi voglia visitare Posillipo e dintorni. Durante il secondo conflitto mondiale fu, addirittura, un sicuro rifugio dalle bombe alleate. Del resto, come in molti angoli della capitale partenopea, la storia e le storie si intrecciano senza badare troppo alla congruenza della linea del tempo. Quasi il monito di un relativismo che non vuole essere un’assenza misera di valori, ma affermazione di quella creatività che distingue ogni esser umano e che in fondo regge, o forse dovrebbe reggere, il mondo.

Di Roberto Colonna

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