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La vigna prefillosserica

  14 Novembre 2019

In Valle D’Aosta, in Trentino, a Ferrara, nel Carignano del Sulcis (Sardegna), sulle pendici dell’Etna in Sicilia. O in Campania, per venire a noi: nei Campi Flegrei, a Ischia, sul Vesuvio e a Tramonti, in Costiera Amalfitana. Questa è la geografia a macchia di leopardo della vigna prefillosserica.

Ceppi centenari, dai tronchi ritorti che raccontano la storia incredibile di una delle più terribili pestilenze dell’agricoltura specializzata europea messa in ginocchio nel volgere di pochi anni da un nemico nascosto: la fillossera che, arrivata con le barbatelle americane a metà Ottocento, attaccò, dalle radici, le più importanti vigne del Continente.

Un vino proveniente da una vigna a piede franco, per la quale, cioè, a suo tempo, non fu necessario un reimpianto completo su portainnesto resistente alla fillossera, è carico, per chi ama il vino, di suggestioni. Di magia.

Ma non solo di quelle. Regalano effettivamente una esperienza unica. Le ragioni tecniche le spiega chiaramente il sommelier Tommaso Luongo, delegato dell’AIS Napoli:

“Degustando vini che provengono da piante che hanno conservato il piede originario si ha la possibilità di fare un viaggio ‘sensoriale’ indietro nel tempo. Si pensi a un apparato radicale che riesce ad andare in profondità intercettando l’essenza più autentica del terroir. Sono vigne che proprio perché non innestate su piede americano riescono a essere molto longeve (fino a superare il secolo d’età) mentre tutte le altre hanno una vita media di vent’anni. Vuol dire: viti più resistenti ai cambiamenti climatici e che concentrano il sapore in pochi grappoli per ceppo”.

Vini come elisir di lunga vita, testimonianza di come un terroir acconcio possa sconfiggere anche il nemico più famelico.

> di Monica Piscitelli

giornalista enogastronomica

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