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Francesco Durante. Un uomo felice.

  04 Novembre 2019

Scorrendo i numerosi articoli che si sono succeduti in ricordo di Francesco Durante, si resta affascinati dalla percezione composita e variegata che in tanti avevano di un intellettuale proteiforme andato via troppo presto.

Chi ne ricorda la lungimiranza nel tradurre Bret Easton Ellis e nel far pubblicare John Fante e Don De Lillo, chi l’originalità di americanista dell’emigrazione storica; alcuni hanno sottolineato il raro, e per questo ancor più prezioso, sconfinamento nella narrazione più pura timidamente mascherata da memoir, altri la brillantezza del giornalista che nell’arco di quattro decenni si è occupato di ambiti diversi senza avere velleità alcuna da tuttologo. In molti hanno commemorato l’organizzatore meticoloso di festival e rassegne che riuscivano a non avere nemmeno il retrogusto di sagra di paese, altrettanti lo hanno rimpianto come docente universitario amatissimo da generazioni di studenti ammaliati dalla sua capacità di collegare mondi apparentemente lontani con lucidità ed esattezza impagabili. Tutti infine hanno rievocato la sua capacità di lettore e di recensore appassionato, capace di cogliere in un romanzo aspetti negletti, sfumature impercettibili, ricchezze nascoste e la tenacia con cui, da consulente editoriale, scovava, promuoveva e valorizzava talenti.

Io, invece, di Francesco Durante conserverò sempre un’altra fotografia: quella di un uomo felice, di un intellettuale quanto più lontano possibile dal cliché della tracotanza mista a indifferenza, la cui enciclopedica cultura che spaziava nelle più vaste e remote regioni dell’intelligenza non aveva mai nulla di polveroso né tampoco di artificioso. L’ho ascoltato ogni volta che presentava un libro o interveniva tra dotti conferenzieri cui molto spesso faceva, involontariamente, fare la figura dei supponenti gregari per quel suo modo disincantato ma mai cinico nascosto dietro lo sguardo sornione da miope. Ma i momenti più scintillanti erano quelli seduti a un tavolino di un bar, come due flâneur, passati ad ascoltare incarnarsi quella gentilezza ironica, quella disponibilità curiosa, quella sorridente leggerezza calviniana, quell’eleganza sempre unita a una capacità di non prendersi mai troppo sul serio.

A Francesco Durante devo, come tanti a Napoli e non solo, troppo perché possa starci in una pagina: per la sua generosità di stimoli, per la capacità irripetibile di essere di sprone, per quel suo far sparire il demone del pessimismo dello scrittore loser. E per il complimento più bello che negli anni mi ha reiterato ogni volta: “Diegus, fai sempre il miglior gin tonic della città”.

Mazel tov maestro.

di Diego Nuzzo

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