Primo Piano

home > Primo Piano> Napoli: cultura, coesione, creatività

Napoli: cultura, coesione, creatività

  15 Luglio 2019

Sono tre le parole chiave sulle quali giocare il rilancio di Napoli: cultura, coesione e creatività. Questi tre termini, che se opportunamente integrati possono costituire un valido motore di sviluppo, rappresentano il “fil rouge” che lega i protagonisti degli incontri di Paolo Mieli alla Sanità, dove il giornalista e saggista, ex direttore del Corriere della Sera, ha portato il fortunato format già sperimentato con success al Festival di Spoleto. Imprenditori, protagonisti del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura, uomini in prima linea contro il degrado sociale hanno cercato di delineare lo scenario che attende Napoli nei prossimi anni. Dagli incontri emerge l’esigenza di una forte coesione e confronto delle diverse “anime” della città.


 

Antonio Loffredo

La serie di incontri non poteva aprirsi che con il Parroco della Sanità, Don Antonio Loffredo, che dal popolare quartiere sta dando un concreto segnale di risveglio e riscatto per l’intera città. “I nostri spazi– dice Loffredo – sono diventati luoghi di aggregazione attraverso laboratori, cooperative e occasioni di lavoro che ci aiutano a far crescere il capitale umano, il vero concime per la comunità”. Lo sguardo e l’impegno quotidiano è rivolto ai più giovani: “siamo tutti responsabili di come crescono questi bambini – prosegue il parroco –: bisogna educarli alla legalità attraverso azioni concrete, dar loro prospettive in termini di occupazione. Solo così può rinascere la comunità”. Loffredo interviene anche sul ferimento di Noemi, la bimba coinvolta in un agguato a piazza Nazionale: “c’è stata tanta solidarietà – replica il sacerdote – ma c’è anche una Napoli fredda, che non ha mai provato qualcosa di bello, che non è stata mai coltivata. Per ricostruire il tessuto civile e i valori sociali dobbiamo aggregare le migliori risorse della città: ognuno, in questo percorso, deve assumersi le proprie responsabilità”.


 

Sylvain Bellenger

Per tanti che partono da Napoli, uno che arriva: Sylvain Bellenger, francese, nato a Valognes, in Normandia, alla guida del Museo e del Real Bosco di Capodimonte dopo aver diretto i principali musei internazionali, quali quelli di Parigi e Chicago. Il suo è un ritorno, in quanto, da giovane studente, la folgorazione sulla via dell’arte avvenne proprio nella pinacoteca napoletana, con la Crocifissione di Masaccio, una tavola su fondo oro con un Cristo che, guardato di fronte, pare abbia il capo completamente incassato nelle spalle, “in realtà – sottolinea Bellenger –la tavola va vista dal basso verso l’alto come quando era collocata nel suo sito originario, la Chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa, ed in questa prospettiva la scena dell’immagine appare in tutta la sua drammaticità, con il linguaggio del corpo, che emana un grido di dolore”. Laureato in filosofia, Bellenger approda alla storia dell’arte come chiave della conoscenza: considera Napoli e l’Italia i suoi punti di riferimento. “Quando ho vissuto 15 anni negli Stati Uniti – dice– il Paese che mi mancava non era la Francia, ma l’Italia. Non mi sono mai sentito così integrato con la comunità locale, nemmeno a Chicago o a Cleveland”. Durante una conferenza stampa a Roma, in occasione della sua nomina, a chi gli chiedeva perché uno straniero doveva guidare un museo italiano, rispose: “sono normanno, quindi molto più napoletano di tanti italiani”. Un amore molto ricompensato, fatto di un impegno per aprire il Museo e il Bosco alla città e per dare a Capodimonte un’organizzazione molto strutturata: “mai come a Napoli ho dato tanto e ricevuto tanto – prosegue Bellenger –: un impegno che va oltre la mera gestione museale, come nel caso della
fontana, restituita ai cittadini. Certo, ci sono ancora molti nodi da sciogliere, come la burocrazia, il mio nemico diretto”. Il riferimento, è alla difficoltà sulla collocazione di un quadro di Caravaggio per la recente mostra: “il percorso museale è fondamentale per capire un’opera e la città – conclude Bellenger –. La storia dell’arte napoletana è fatta da stranieri, Napoli è una
città di passaggio: qui lo straniero è vicino di casa e già nel ‘700 era capitale della globalizzazione. Il soggiorno di Caravaggio è emblematico in tal senso: in questi 18 mesi ha caratterizzato la scuola napoletana più di qualsiasi altro artista”.


Vincenzo Salemme

Tutto nasce da Eduardo: nel 1977 cercava delle comparse a Cinecittà. “Presentato da Sergio Solli – racconta Vincenzo Salemme – il Maestro, forse impressionato dalla mia magrezza e pensando che non avessi i soldi per mangiare, disse: ‘faccimce fa qualche battuta, così piglia la paga di attore’. Il resto lo fece Pupella Maggio, che convinse De Filippo ad affidarmi un ruolo”. La commedia era “Il cilindro“, un atto unico e mancava un giovane, un personaggio abbastanza importante: Eduardo decise per il provino. “Solli mi suggerì di farlo davanti alla compagnia – prosegue
Salemme –. De Filippo apprezzò il mio coraggio: quel momento fu indimenticabile, restai con lui e con il figlio quindici anni”. Il riferimento a Eduardo implica una riflessione sul Rione Sanità: “un testo rivoluzionario, che parla della Napoli anni ’60 – ricorda l’artista –. Forse un inno a un uomo giusto, che tiene a bada le tensioni nel quartiere con un suo senso di giustizia, che si
schiera da difesa dei deboli. Una carica di umanità che oggi si è persa”. Anche nel mondo dello spettacolo? “Non ci sono più gli attori ‘caldi’ che andavano oltre il personaggio che interpretavano – risponde Salemme –. E, più in generale, non ci sono più gioie sociali, collettive: l’ultima, con lo Scudetto del 1987”. L’arte e la cultura salveranno Napoli? “Non lo so, certe difficoltà, come quelle dei tempi in cui viviamo, devono unire piuttosto che dividere. Io posso solo dire che il teatro mi ha salvato”.


Corrado Ferlaino

Trentatré anni alla guida del Napoli, imprenditore, appassionato di auto. Pochi sanno che Corrado Ferlaino, l’ingegnere, è stato anche produttore cinematografico. E la pellicola d’esordio doveva essere un film su Che Guevara, “pensi che in Bolivia mi volevano vendere i diari del Che per tre soldi – ricorda –. Lo girammo in Spagna, vicino Almeria, poi scoprii che il direttore, un mio amico romano, mi stava imbrogliando. E così saltò tutto”. Ferlaino è andato sempre ‘oltre’, in tutto quello che ha fatto: “qualche volta ho violato le regole – confessa – ma solo nel senso di passare con il rosso”. Ingegnere, ma il rispetto delle regole non è il presupposto per combattere la camorra? “La camorra si batte con altri sistemi, è un fenomeno molto complesso, nato nel ‘500 con gli spagnoli che hanno portato qui carcerati – risponde l’ingegnere –. Piuttosto dovremmo combattere una falsa immagine che danno di Napoli in Italia e nel mondo: se qui succede qualcosa, c’è soprattutto l’amplificazione degli aspetti negativi”. Ferlaino ha ricevuto intimidazioni per il cantiere del parcheggio di Piazza Nazionale: “la camorra esiste dove c’è povertà – prosegue –, una risposta seria è dare lavoro”. Nei 33 anni di presidenza del Napoli, i ricordi più belli sono legati a Maradona: “un incontro velocissimo a casa sua a Barcellona – ricorda Ferlaino –: gli chiesi se voleva venire a Napoli, mi rispose di si. Tutto lì, non mi offrì niente, i calciatori di solito non offrono mai niente, e io non prendo nemmeno un caffè. Non puoi essere amico dei calciatori, appena diventi amico ti chiedono i soldi”.   L’ingegnere ha abbandonato il suo lavoro per il Napoli, ma è stato ripagato dalla città, tranne quando tentarono di incendiargli la casa perché la squadra andava male. “Ma è proprio quando le cose vanno male – suggerisce – che ci vuole spirito di rivincita”. Oltre lo Scudetto, un’altra data stampata nella mente è il 17 maggio 1989 a Stoccarda, per la Coppa UEFA: “Sono andato via dopo aver abbracciato i giocatori – racconta Ferlaino –. Guidando la macchina verso l’aeroporto le strade erano tutte piene di bandiere del Napoli. Erano degli operai immigrati, che avevano voglia di rivincita”. E il momento più brutto? “Quando mi sono sentito tradito nei risultati – conclude l’ingegnere – : alcuni giocatori, al secondo scudetto, mi hanno lasciato. È come sentirsi tradito da una donna. Poi il Napoli in serie B: abbiamo giocato contro colossi industriali e finanziari quali Fiat e Fininvest, contro il petrolio dei Moratti. Serviva un grande sforzo finanziario”.


Gigi Proietti

Romano, ma con il cuore a Napoli: Proietti appena arrivato alla Sanità, incontra i ragazzi della Cooperativa La Paranza, della Fondazione San Gennaro e del Nuovo Teatro Sanità: “l’attività teatrale – spiega l’attore –può essere un sostegno se inserita nel sociale come fanno qui”. Da qui la proposta di portare al Rione Sanità il suo spettacolo su Edmund Kean: “fanno un bel lavoro qui, Napoli a differenza di Roma, è tutta un fermento, è una città piena di iniziative, con un grande spirito di appartenenza, che avverti subito”.

 

> di Francesco Bellofatto – Maria Pia De Angelis – Annamaria Autiero

 

condividi su: