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Diritti civili e sociali garantiti a tutti i cittadini

  09 Maggio 2019

Industriali e università intervengono sull’autonomia differenziata

Un programma in sette punti sulle competenze e sul ruolo dello Stato

La richiesta di autonomia differenziata avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna pone l’Italia di fronte a un bivio: può portare a una secessione mascherata oppure può diventare l’occasione per il Paese per rivedere il funzionamento della Repubblica, superando le forti distorsioni del federalismo che hanno portato a riconoscere fabbisogni standard iniqui in delicati ambiti sociali (sanità, università, asili nido, istruzione, trasporto pubblico locale, assistenza ai disabili e agli anziani non autosufficienti).

A ciò si aggiunga che l’assenza di una definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili ha finora impedito all’Esecutivo (come previsto dall’art. 120 Cost) di sanzionare la macroscopica inefficienza di talune amministrazioni e di sostituirsi alle amministrazioni inadempienti, nell’interesse dei cittadini.

Partendo da queste considerazioni l’Unione degli Industriali di Napoli, con l’Università Federico II, costituzionalisti ed esperti, propone un percorso articolato in sette punti per evitare che l’autonomia differenziata richiesta da alcune Regioni del Nord possa spaccare il Paese, divaricando la forbice tra il Nord e il Sud. “Quando pensiamo al Sud e al Nord, pensiamo automaticamente a un divario – spiega Vito Grassi, presidente degli industriali partenopei -. La preoccupazione è che una legge che riguardi l’autonomia delle singole Regioni possa aumentare questo divario”.

La proposta di autonomia differenziata – presentata a Palazzo Partanna nel corso del confronto su “Autonomia differenziata. Il percorso possibile”, con la partecipazione, tra gli altri, di Gaetano Manfredi, rettore dell’Università di Napoli Federico II, del costituzionalista Cesare Mirabelli, già presidente della Consulta, e il presidente della Svimez Adriano Giannola – prevede un rapido avvio del processo di riconoscimento delle competenze in base al principio del trasferimento finanziariamente neutrale delle risorse. La proposta contempla la definizione, per le competenze già assegnate o da trasferire agli enti locali, dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. E ancora, la previsione nella legge attuativa di un sistema di monitoraggio pubblico affinché il governo possa tempestivamente sostituirsi agli organi delle Regioni e degli altri enti locali a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni.

Prevista anche la correzione delle norme incoerenti con il pieno finanziamento delle funzioni pubbliche assegnate agli enti locali, a partire dalla rimozione del dimezzamento del target perequativo, e il recupero della piena potestà statale in materia di perequazione per superare gli attuali sistemi di solidarietà conflittuale tra enti locali del medesimo livello, collegando l’erogazione di risorse alla puntuale verifica dell’efficienza della spesa.

Infine, il recupero della potestà statale di indirizzo per le materie nevralgiche per lo sviluppo economico nazionale.

“La nostra proposta di un percorso possibile – sottolinea il rettore Manfredi – garantisce alle regioni del Sud pari doveri e pari diritti rispetto alle altre parti del Paese”.

“L’impostazione di fondo – aggiunge il costituzionalista Mirabelli – è quella di trattenere le risorse nel luogo dove sono state prodotte. Questo principio può essere perseguito se però vengono perseguiti anche gli altri principi che la Costituzione prevede. Tra questi, la legge dello Stato deve prevedere un fondo perequativo senza vincoli di destinazione nei territori con minore capacità fiscale per abitante”.

Per il presidente di Svimez, Giannola va chiarito il meccanismo di fondo: “tre regioni del Nord e quelle che hanno espresso il desiderio di seguirne le tracce si dichiarano sostanzialmente Stati indipendenti, ma senza fare la secessione che rappresenterebbe, per loro, un grosso rischio, ovvero accollarsi l’80 per cento del debito pubblico. Quindi sono in una condizione molto comoda, ‘di garanzia’, che cristallizza diritti di cittadinanza molto diversi nei vari territori usufruendo di una rendita che non è prevista da alcuna legge, né dalla Costituzione, né dalla legge Calderoli sul federalismo fiscale. Chiediamo semplicemente di applicare delle regole e di discuterne perché questi comportamenti sono molto elusivi e l’ipotesi di una legge approvata senza possibilità di discussione è totalmente al di fuori della Costituzione, anche se l’articolo 116 prevede un iter particolare, ma che sia coerente con l’articolo 119 e 120 della Costituzione stessa. Due articoli che sostanzialmente vengono scardinati da quello che le indiscrezioni di prima delle trattative segrete ci hanno fatto capire”.

Un’occasione, dunque, per intraprendere un percorso nel quale siano trasparenti le finalità, le regole e l’arbitro, con una proposta che promuova in ciascuna comunità responsabilità, efficienza e un’equità finalizzata sia all’attrattività economica, sia alla reale convergenza e tenuta sociale dei territori, riconoscendo al Parlamento e al Governo il ruolo di garanzia e di intervento a correzione degli eventuali effetti distorsivi.

Al tempo stesso la proposta mira ad accrescere la competitività nazionale e dei territori interessati, rafforzando, d’un lato, alcune potestà legislative statali in materie nevralgiche per lo sviluppo economico nazionale (infrastrutture strategiche, energia, ambiente ecc.) e, d’altro lato, perseguendo l’obiettivo della semplificazione della Pubblica amministrazione.

I SETTE PUNTI PER L’AUTONOMIA

  • Rapido avvio del processo di riconoscimento delle competenze – come richiesto da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – in base al principio del trasferimento finanziariamente neutrale delle risorse;
  • Contestuale definizione, per ciascuna delle competenze già assegnate o da trasferire agli enti locali, dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
  • Previsione nella legge attuativa di un sistema di monitoraggio pubblico affinché il Governo, come previsto dall’articolo 120 della Costituzione, possa tempestivamente sostituirsi a organi delle Regioni e degli altri enti locali a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni;
  • riconoscimento nella legge attuativa di un ruolo esplicito del Parlamento sia per il monitoraggio degli effetti sia per la potestà di effettuare, con procedura ordinaria, le modifiche che dovessero manifestarsi come necessarie.
  • correzione delle norme incoerenti con il pieno finanziamento delle funzioni pubbliche assegnate agli enti locali, a partire dalla rimozione del dimezzamento del target perequativo (legge 232/2016, comma 449, lettera c);
  • recupero della piena potestà statale in materia di perequazione per  superare gli attuali sistemi di solidarietà conflittuale tra enti locali del medesimo livello, collegando l’erogazione di risorse alla puntuale verifica dell’efficienza della spesa.
  • recupero della potestà statale di indirizzo per le materie nevralgiche per lo sviluppo economico nazionale.

> di Francesco Bellofatto

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