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Ferdinandopoli, la fragile utopia

  25 Gennaio 2019

Dai Borbone all’Unesco storia e realtà della Real Colonia Serica di San Leucio

A pochi chilometri dalla Reggia di Caserta si trova il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio. Riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, il borgo è noto per la pregiata lavorazione della seta. In pochi però sanno che in questi luoghi fu sperimentato il primo esempio di repubblica socialista della storia moderna, in piena adesione col fervente illuminismo ideologico del ‘700.

Nel 1750 Carlo III di Borbone acquistò dai Principi di Acquaviva una collina retrostante la Reggia di Caserta, sulla quale si ergeva un belvedere con una piccola chiesa dedicata a San Leucio. Fu lì che Ferdinando IV fece costruire un casino di caccia, insediandovi uno sparuto numero di coloni che provvedessero alla sua manutenzione. È cosa risaputa che Ferdinando amasse trascorrere molto tempo a San Leucio e che fosse avvezzo a trastullarsi con belle e floride contadine, tant’è che i bambini leuciani erano soliti essere chiamati “e figli d’ o‘ Re”.

La colonia crebbe nel tempo fino a diventare una piccola comunità e fu allora che il sovrano, in seguito alla morte prematura del figlio e principe ereditario Carlo Tito, ebbe l’illuminazione di operare un “restyling” della tenuta e di creare un modello sociale dotato di autonomia economica e dedito alla lavorazione della seta.

Mentre i Borbone in Francia erano alle prese con i tumulti rivoluzionari, nel 1789 nasceva la Real Colonia Serica di San Leucio, nelle intenzioni visionarie e mai esaudite del sovrano “Ferdinandopoli”, governata secondo una legislazione autonoma chiamata “Codice Leuciano”, improntata su un socialismo utopistico a cui corrispondeva nella pratica una pianta organica cittadina di tipo simmetrico il cui progetto fu affidato all’architetto Collecini, allievo del Vanvitelli.

Le unità abitative delle famiglie operaie, organizzate in ville a schiera, furono dislocate lungo i quartieri San Carlo e San Ferdinando, con accesso alla zona centrale definita Bagno Cavallo provvista di lavatoi ed abbeveratoi. Sul portale d’ingresso fu posto lo stemma dei Borbone con decorazioni eseguite da Angelo Brunelli e Nicola Morosini, mentre lungo via Vaccheria e via Giardini Reali furono installate pregevoli fontane del Solari. Nel progetto iniziale era previsto anche il quartiere Trattoria rimasto però incompiuto.

Nel 1794 il Collecini disegnò l’ospedale della colonia che fu poi effettivamente realizzato prevedendo anche una sorta di reparto riservato alle malattie infettive. Agli inizi del 1800 furono costruiti il Casino di San Silvestro, gli edifici per la produzione casearia e le cantine per l’invecchiamento del vino ottenuto dalle uve coltivate nella “vigna del ventaglio”, ovvero quel tratto collinare tra il Belvedere e San Silvestro che prevedeva la coltivazione di un vitigno differente per ogni raggio in cui era diviso il declivio. Nel 1801, sempre su progetto del Collecini, fu iniziata anche la Chiesa di Maria Santissima delle Grazie alla Vaccheria, terminata poi nel 1805.

La vita della colonia ruotava attorno all’opificio: una seteria con la filanda (inizialmente attivata a braccia poi grazie alla forza motrice dell’acqua) ed i primi filatoi meccanici in grado di realizzare tessuti unici, come il Leuceide, partendo dall’allevamento dei bachi da seta. La fama non tardò ad arrivare e alla Real Colonia Serica di San Leucio cominciarono ad essere commissionati ordini rilevanti provenienti dalle corti di mezza Europa. Ancor più quando ad inizio ‘800 la seteria fu dotata anche di un telaio Jacquard per la produzione di broccati in oro ed argento.

Il modello societario della colonia non aveva impronta capitalista, nulla era a fini di lucro, anzi i capisaldi erano l’uguaglianza, l’istruzione (obbligatoria dai sei anni per ambosessi) e la previdenza sociale. Il Codice Leuciano era a dir poco avanguardista: i giovani potevano sposarsi per libera scelta, le mogli non erano tenute a portare la dote in quanto lo Stato s’impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi. Vennero aboliti i testamenti, la successione era per linea diretta da padre in figlio e viceversa e le donne avevano pari diritto ereditario rispetto agli uomini e stesso salario. Gli orfani venivano mantenuti dallo Stato fino alla maggiore età, gli anziani, i malati e coloro che per un’invalidità non potevano lavorare erano mantenuti dalla comunità utilizzando come fondi le tasse mensili che ogni manifatturiere versava in proporzione al suo guadagno giornaliero.

L’esperimento sociale dei Borbone funzionò egregiamente per una sessantina d’anni, poi gli ideali filosofici su cui Ferdinando IV aveva fondato la colonia cominciarono a sgretolarsi a causa dell’aumento della popolazione e dei conseguenti dissidi non risolvibili con l’applicazione della legge. Inoltre nel 1861, con l’invasione sabauda, il setificio, come gli altri beni borbonici, divenne bene demaniale e affittato a tale Dumontet che a sua volta subaffittò alle varie famiglie operaie che sin dall’origine avevano contribuito alla fama di San Leucio. Il Codice Leuciano divenne carta straccia e gli avveniristici intenti di Re Ferdinando (che di suo pugno aveva scritto le leggi) spazzati via con un soffio di vento. Nel 1866 i leuciani con una petizione chiesero ed ottennero lo statuto di comune autonomo recuperando anche le proprietà dei Borbone.

Attraverso diverse società l’opificio rimase in funzione fino al 1910 poi, in seguito a fallimento, visse un decennio di inattività fino a quando, nel 1920, la famiglia De Negri stipulò un contratto per utilizzare la fabbrica fino al 1970. A partire dagli anni ’90 le piccole aziende familiari impegnate nella conservazione della tradizione serica leuciana hanno sentito la forte esigenza di creare un consorzio a tutela del prodotto. Nel 2014 il primo passo verso la modernità con la nascita di una rete costituita da cinque imprese, di poi, nel 2016, la registrazione del marchio San Leucio Silk per iniziativa della Camera di Commercio di Caserta, al fine di assicurare standard qualitativi nel pieno rispetto della storia e del territorio. I marchi che attualmente aderiscono al consorzio sono un connubio tra innovazione e tradizione. Il fine primario del marchio San Leucio Silk, come in più occasioni sottolineato dal Presidente Gustavo Ascione, è “proporre l’eccellenza della lavorazione ad un prezzo accessibile, mirando così ad un allargamento della platea di fruitori”. Obiettivo assolutamente alla portata del marchio visto che, aziende appartenenti alla rete serica leuciana, quali Bologna e Marcaccio, De Negri & Za.MA., Silk & Beyond, hanno registrato apertura di contatti commerciali con Russia ed Emirati Arabi, territori dove la preziosità delle sete di San Leucio è particolarmente apprezzata.

Del polo serico di San Leucio resta il suo valore storico, la bellezza architettonica e la perfezione strutturale, di Ferdinandopoli, quella che un tempo era la colonia più all’avanguardia d’Europa, non resta nulla se non l’illusione di un re Lazzarone, un sogno fragile e delicato come un filo di seta.

> di Aurora Rennella

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