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Narrare il Sud: Sguardi di scrittori contemporanei su Napoli

  15 Novembre 2018

Erri De Luca e Montedidio

Ci porta nella sua Napoli Erri de Luca con Montedidio. Un percorso a ritroso nelle pieghe della storia: È la fine del quarantacinque, c’è bisogno di scarpe, la gente si vuole sposare, Napoli è piena di nozze. Un ragazzino fa i conti con la fatica di crescere e intanto si allena a far volare un bumeràn; di giorno va a bottega, impara il mestiere da mast’ Enrico, il ciabattino. È la Napoli del secondo dopoguerra, la Napoli della ricostruzione quella che emerge fin dalle prime pagine. Napoli e Montedidio assumono subito il ruolo di vero protagonista del romanzo. Montedidio è un quartiere di vicoli, se vuoi sputare in terra non trovi un posto libero tra i piedi. Qui non c’è spazio per stendere un panno. Per prendere aria bisogna cercare il cielo. A ora di pranzo vado su ai lavatoi a stendere i panni, poi li ritiro la sera. Non c’ero stato ancora là sopra, sul terrazzo, è alto sopra Montedidido, piglia un po’ di vento la sera. L’osservazione della città avviene dall’alto. Lo scrittore ci addestra a un esercizio che coinvolge tutti i sensi. Non basta guardare, è necessario raccogliere voci e suoni di una città acustica. Ci sono i rumori: La strada fa chiasso anche di sera ma io sto più alto di tutti, sul terrazzo dei panni e il rumore più forte è lo spigolo del bumeràn che taglia l’aria al passaggio dietro le orecchie. Di giorno si sentono le voci degli ambulanti che approfittano delle finestre aperte per chiamare dalla strada nelle stanze. L’urlo del venditore: “Olive di Gaeta, tengo olive pietr’e zucchero, calate ‘o panaro” fa uscire le donne sui balconi, la vita del vicolo è tutta in fermento, la gente del quartiere abita la strada come un prolungamento della casa. La comunità domestica si allarga, trova nel vicolo l’opportunità di una socialità più estesa.

E poi c’è il mare che arriva anche quassù e ha la forza d’intrufolarsi ovunque come il sole tiepido di novembre, che spinge il vicolo a sporgersi fuori con le sedie in strada vicine al bastone dei panni e al braciere. Se non lo puoi vedere il mare, devi annusarlo nel vento e nella salmastra: La porta è aperta, il vento di mare arriva a scaricare odore di porto fino a qua sopra, mi pare di sentire la giacca di babbo, ingrassata, salata, ruggine e catrame. E il mare di Napoli, anche se percepito soltanto attraverso l’olfatto, ha sempre un effetto rasserenante: È salito l’odore del porto fino al vicolo e mi scordo del malincuore.

> di Vincenza Alfano

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