Testi e Teatro

home > Testi e Teatro> Fiction e Graphic Novel, la nuova industria della creatività

Fiction e Graphic Novel, la nuova industria della creatività

  19 Luglio 2018

Brancato, sociologo e sceneggiatore: L’immaginario a Napoli, dal Commissario Ricciardi a Gomorra

Ha curato la sceneggiatura della serie del Commissario Ricciardi a fumetti, in edicola per la Sergio Bonelli Editore, la sua firma è in copertina sulla storica rivista Linus: Sergio Brancato, scrittore e docente di Sociologia della Comunicazione all’Università Federico II di Napoli è tra i maggiori esperti italiani di fumetti e di fiction.

Che cosa cambia dal testo di Maurizio de Giovanni alla graphic novel?

Cambia molto, ma sempre nel rispetto della materia narrativa originale. Il romanzo e il fumetto rispondono a differenti codici di comunicazione: perciò si è trattato di tradurre un linguaggio in un altro. Operazione complessa, ma il nostro team di sceneggiatori – Claudio Falco, Paolo Terracciano e io – l’ha saputa affrontare grazie alla conoscenza approfondita dei romanzi di Maurizio.

Ritiene che possa raggiungere un pubblico più ampio?

Non saprei. Al momento i dati delle vendite indicano una risposta assai positiva soprattutto per l’edizione da libreria. Ad esempio, La condanna del sangue – il romanzo che ho sceneggiato per i disegni di Lucilla Stellato – è in testa alle classifiche da mesi. Ritengo che gli appassionati dei romanzi cerchino di rivivere visivamente l’universo di Ricciardi, mentre dal canto loro i cultori del fumetto hanno la possibilità di godere di un immaginario sin qui estraneo all’universo della Bonelli.

È tra le firme di copertina della storica rivista “Linus”…

Da maggio la più antica rivista europea dei comics d’autore è diretta da Igor Tuveri, in arte Igort, una vera star del fumetto mondiale. Lui mi conosce nella mia veste di sociologo della cultura, così mi ha voluto tra i collaboratori e gliene sono grato, per me è un bel riconoscimento. Ma consideri che da anni mi occupo di comics come studioso, critico e autore. Per esempio, sono stato l’unico napoletano a collaborare per la rivista “Corto Maltese”, e attualmente scrivo le introduzioni del mensile “Historica” per Mondadori, un’importante collana dedicata al fumetto storico.

Quale spazio c’è a Napoli per l’industria della cultura e della creatività?

Enorme, poiché questa città dall’antica vocazione metropolitana sopperisce alle proprie carenze industriali con una vocazione “estetica” diffusa e dai caratteri “catastrofici”. Trasformando i propri limiti strutturali in conflitto ed energia creativa, come già sosteneva anni or sono Massimo Cacciari.

Lei sostiene che Napoli è una città che vive dentro un paradosso. Perché?

Per gli straordinari contrasti che tuttavia producono straordinari risultati sul versante delle forme espressive. Ricorda le parole di Orson Welles nel film Il terzo uomo? “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù…”. Naturalmente si tratta di una provocazione, io vorrei una Napoli diversa, più simile a Barcellona, dotata di servizi e con una migliore qualità della vita. Però non scambierei mai la nostra effervescenza culturale per una quotidianità di orologi a cucù…

Che scenari può aprire il digitale per lo sviluppo del Mezzogiorno?

Molti e importanti. Potrebbe permettere il recupero di un gap produttivo con le realtà industriali più avanzate. Ma queste potenzialità richiederebbero politiche nazionali differenti.

L’immagine di Napoli che si percepisce in Italia e all’estero è quella di Gomorra e di Dolce&Gabbana?

Magari! Quelle sono immagini moderne, che producono una forte mitopoiesi della città, aggiornandone l’immaginario. Avversare queste esperienze di comunicazione conferma solo il colpevole ritardo dei nostri ceti dirigenti sui temi relativi al nesso, costitutivo e nevralgico, tra media e società. Sono molto più avanti quei cineasti – ad esempio le sorelle Wachowski – che leggono le traduzioni americane di Elena Ferrante e vengono qui per ritrovarne le atmosfere, riecheggiandole in grandi produzioni seriali come Sense8.

Napoli come luogo della tradizione o della modernità?

Entrambe. D’altra parte, la stessa modernità si definisce come istituzione di una tradizione del percepirsi collettivo, quella di un mondo che – a differenza del passato – si riconosce non nella stabilità ma nella precarietà e nella incessante trasformazione. Ma penso che Napoli sia già oltre l’orizzonte della modernità.

> di Francesco Bellofatto

“La condanna del sangue”, disegni di Lucilla Stellato. Copyright Sergio Bonelli Editore 2018

La condanna del sangue - tav. teatro

condividi su: