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FUJTEVENNE? NO, RESTATE AL SUD GIOVANI, INNAMORATEVI DELL’ARTE

  30 Marzo 2018

Luigi De Filippo parla del suo rapporto con Napoli. L’erede di Eduardo? Non c’è ancora…

“Ai giovani dico ‘non seguite il monito di Eduardo, il Fujtevenne’. Restate in questa città, innamorandovi dell’arte, del teatro e della politica”.

A quasi 88 anni Luigi De Filippo, l’ultimo di una grande dinastia di teatranti parla del suo rapporto con la città dove è nato, dei ricordi del padre e dello zio. Del perché non è in cartellone a Napoli, del suo desiderio di rilevare e intitolare alla sua famiglia un teatro in questa città come ha fatto col Parioli a Roma. E lancia il suo messaggio ai giovani napoletani in un momento delicato come quello che la città sta attraversando.

Dopo la morte di suo cugino Luca, lei è l’ultimo dei De Filippo, il solo rimasto di una grande dinastia di teatranti. Come vive questo status?

Per me è una grande responsabilità perché sto cercando di fare onore al nome che porto.

Perché un De Filippo non è in cartellone a Napoli?

Non coincidevano le date disponibili dei teatri per i miei spettacoli. Inoltre mi sono operato da poco e devo stare a riposo. Ma spero di venire a Napoli l’anno prossimo.

Il suo rapporto con la città in cui è nato…

Ottimo. Noi De Filippo abbiamo avuto la fortuna di avere le radici a Napoli. Una città alla quale devo molto.

Quale deve essere per lei la funzione del teatro?

Comunicare al pubblico delle belle emozioni. Il teatro, come diceva qualcuno, è una magnifica bugia che ci ruba l’anima e ci fa sognare.

Tradizione o innovazione a teatro?

L’ideale sarebbe entrambe. In questo senso io e mio cugino Luca siamo stati gli artefici del teatro di grande tradizione.

Che ricordo ha di suo padre Peppino e di suo zio Eduardo?

Un ricordo molto bello. Era il 1972. Al San Ferdinando Eduardo andava in scena con “Napoli milionaria”. Convinsi mio padre ad andarlo a vedere. A un certo punto mio zio dal palco si rivolse alla platea, dicendo “hanno detto che io e mio fratello non ci vogliamo bene. Non è vero. Lui ora è in sala con il figlio e vorrei che salissero qui con me”. Così si riappacificarono.

Cosa ha tratto dall’uno e dall’altro?

Da entrambi il piacere di rendere utile e dignitosa una risata. L’umorismo è la parte amara della comicità, quella che fa riflettere. E l’autoironia è ciò che ha pervaso il Teatro Umoristico I De Filippo.

Carmelo Bene, molto amico di Eduardo, tentò di farli lavorare insieme in un progetto, giusto? Quale?

Mi parlò del suo progetto una sera a cena. Si trattava del “Don Chisciotte”, ma non se ne fece nulla perché quando lo dissi loro nessuno dei due fu d’accordo. Eduardo dove va impersonare Don Chisciotte e Peppino Sancho Panza.

Chi è l’erede di Eduardo oggi?

Non c’è ancora.

E di sua zia Titina che ricordo ha?

Era una donna di grande talento. Costretta dalla malattia a ritirarsi dalle scene. Mi ha trasmesso la passione per la musica e per il pianoforte, che mi ha insegnato a suonare ed era un’insegnante molto severa.

Molti hanno fatto proprio il monito di Eduardo che invitava i giovani ad andare via da Napoli, il famoso “Fujtevenne”: alla luce della degenerazione morale in termini di sicurezza di questa città, quale pensa possa essere la ricetta per salvare Napoli?

Oggi ai giovani direi piuttosto di avere la forza di resistere e di non andare via. In che modo? Appassionandosi alla cultura, al teatro e alla politica. Napoli è una città meravigliosa e piena di risorse. Non serve abbandonarla. Si deve restare per combattere e valorizzarla.

Con sua moglie Laura Tibaldi ha rilevato il Teatro Parioli di Roma, che oggi porta il nome di suo padre Peppino. Se potesse scegliere, farebbe la stessa operazione a Napoli?

Se si fosse presentata l’occasione lo avrei già fatto. Ma ho dovuto preferire Roma a Napoli in questo caso.

> di Giuliana Covella

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