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CON GLI OCCHI DI CARAVAGGIO: LA MODERNITÀ DEL SEICENTO

  29 Dicembre 2017

Perché Caravaggio arrivò sul finire di una vita travagliata proprio a Napoli, in due periodi, dall’ottobre del 1606 al luglio del 1610?

Da chi si nascondeva, perché era perennemente in fuga? E quali opere riuscì a portare a termine lontano dalla “sua” Roma?

Ricostruendo un diario intimo che mescola il vero e il verosimile, il reale e la finzione, Francesco de Core, “Con gli occhi di Caravaggio, Napoli 1606-1610 (Edizioni Intra Moenia) ci propone l’ultimo segmento dell’esistenza del grande maestro affidandosi appunto alle sue parole. Michelangelo Merisi ebbe per Napoli un trasporto viscerale, operando in una città dalle contraddizioni vertiginose, dove ricchezza e povertà hanno convissuto – e ancora convivono – negli spazi stretti dei vicoli, nelle chiese, negli ospedali e nei palazzi, oppure a due passi dal mare. Il testo è accompagnato dalle foto di Sergio Siano, calatosi nelle profondità di una metropoli che dal Seicento a oggi pare vivere un eterno presente.

Come fa Caravaggio, a quattro secoli di distanza – scrive de Core – a essere così palpitante dentro e fuori di noi? Apparire nella Napoli dei Tribunali, galleggiando come uno spettro nelle esplosioni del vicolo, tra fiotti di voci convulse, colori accesi e improvvisi squarci di silenzi, oggi come allora? Oppure addensarsi nelle forme e nelle pennellate tra santi martiri e popolani all’interno di una chiesa, o di un museo, e sprigionare una forza espressiva che si libera, come un sisma, nella terra inquieta di una città fibrillata dalla creazione? Ecco: come fa, Caravaggio, a esserci, trasformarsi, diventare altro da sé e, alla fine, non esserci, evaporare, sparire? Solo con la sua arte profetica e sublime?”

Dalle tracce autografe del Caravaggio, appunti ritrovati nell’Archivio storico del Banco di Napoli, nasce la trascrizione, curata da de Core, fedelmente reinterpretate “con una trascrizione libera ma non arbitraria”, precisa l’autore.

Un diario sofferto che si alterna alle immagini di Sergio Siano, capaci di evocare vecchie e nuove suggestioni: “Ho prima conosciuto “Le sette opere di Misericordia” poi, dopo – spiega Siano – la mano che le creò. I volti dipinti su quella tela attirarono la mia attenzione: sentivo che le facce di quelle persone mi erano familiari come parenti di primo grado, gente a me vicina, non lontana quattro secoli. Credo che il talentuoso pittore sia diventato il grande Caravaggio anche per il suo stato d’animo, per le sofferenze, per quella morte che soffiava forte sul suo collo per le condanne capitali, e infine per la scoperta di una nuova luce che cadeva e si spezzava tra i palazzi alti dei vicoli di Napoli. Chi non ha mai passeggiato in questi vicoli non può sapere che i dipinti napoletani di Caravaggio sono come i fotogrammi di un reporter. Il chiaroscuro, i contrasti naturali e sociali del popolo vissuto all’inizio del Seicento non sono poi così lontani da immagini di questo libro che dimostrano come in alcuni luoghi, e per alcune persone, il Seicento non è passato”.

Caravaggio palpita nelle pagine di questo volume, con la sua modernità di uomo ribelle prima ancora che di artista rivoluzionario.

>di Sarah Bellofatto

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