Testi e Teatro

home > Testi e Teatro> ALBA CACCAVALE (AUGUSTEO): COSÌ RINNOVO IL MIO TEATRO

ALBA CACCAVALE (AUGUSTEO): COSÌ RINNOVO IL MIO TEATRO

  17 Luglio 2017
????????

L'impresaria della prestigiosa sala napoletana parla degli artisti che hanno calcato le sue scene

Alba Caccavale, indiscusso simbolo del Teatro Augusteo, padrona di casa di glamour e raffinata educazione, si racconta e ci racconta il Teatro Augusteo, “dopo” l’improvvisa scomparsa di Francesco Caccavale, che per anni ha mantenuto, in modo egregio, il timone di uno dei teatri più belli e rappresentativi di Napoli

Lei oggi, dopo la scomparsa di suo marito Francesco, è il punto di riferimento del Teatro Augusteo. Da donna come vive la scelta di essere a capo di un teatro così importante?

“Continuo a fare quello che ho sempre fatto, coadiuvata da mio figlio e mia nuora. Con mio marito ci eravamo divisi i ruoli, lui preferiva che m’interessassi dei rapporti con i giornalisti, che fossi io a fare i comunicati stampa, insomma fare da padrona di casa, mentre  lui lavorava al lato tecnico. Naturalmente essendo cresciuti insieme (siamo stati insieme 55 anni) ci confrontavamo sia sul cartellone che sull’ufficio stampa: eravamo un tutt’uno. Oggi continuo a fare quello che ho sempre fatto, ad amare questo teatro e a dare un’immagine quanto più tranquilla, serena e perbene possibile. Il mondo è cambiato in fretta intorno a noi, non ci sono più i Gaber, i Garinei, i De Filippo. Ci troviamo in una situazione diversa: giovani attori, giovani produttori, bisogna adeguarsi ai nuovi gusti del pubblico.  Con mio figlio e mia nuora ci confrontiamo sulle nuove leve anche se io lascio spazio, in modo che il giorno che non ci sarò loro possano proseguire in tutto e per tutto il nostro lavoro. Sono con le orecchie tese e gli occhi aperti ma interferendo il meno possibile, continuando a fare i miei comunicati, ad accogliere la stampa. Insomma mi comporto con grande discrezione.

Per una donna c’è un attimo in più, però, perché la donna deve essere sempre presentabile, pettinata truccata, lo donna ha una marcia in più ma è anche una marcia pesante la nostra. Un uomo non ha bisogno di dimostrare, la donna invece, e non voglio fare la femminista a tutti i costi, deve farlo. Ringraziando il cielo il teatro va bene, il programma di quest’anno è piaciuto”.

Il Teatro Augusteo è stato riportato ai fasti nel 1990 da suo marito Francesco. Lui restituì alla città uno dei suoi teatri storici. Mi racconta la scelta di quegli anni?

“Il Teatro, che allora fungeva da cinema, era chiuso da un po’ di anni. Si diceva che era un peccato che questo cinema Augusteo così centrale, importante fosse chiuso. Negli anni ’80, tra l’altro, era diventato un cinema luci rosse, purtroppo erano finiti i kolossal, i grandi film americani, insomma era finita un’epoca. Noi già c’interessavamo di cinema, anche se ospitavamo compagnie teatrali nei locali che gestivamo in provincia, però il grosso del nostro lavoro era sul cinema. Era uno scandalo che l’Augusteo fosse chiuso: arrivò voce nell’ambiente cinematografico che qualcuno voleva farne un supermercato. Ero cresciuta nei dintorni, per me la notizia fu come una pugnalata. Da piccola ci venivo a vedere gli spettacoli di Zietta Liù, inoltre la prima lezione di storia dell’arte me l’ha impartita mio padre in questo teatro, dove ai lati della platea c’erano raffigurate la Primavera e la Nascita di Venere di Botticelli. Una lezione sugli spazi che un pittore occupa sulla tela, gli spazi pieni e quelli vuoti. Papà ci cresceva così, era un rinascimentale puro. Insomma l’idea che questo locale dovesse diventare un supermercato mi sembrava mostruosa. Lo dissi a mio marito, lui s’informò, seppe che era in locazione, un fitto alto, ed era perplesso. In quegli anni la zona era ridotta male: funicolare chiusa e piazza del Plebiscito era come un deposito di macchine. Intervenni, e questo è stato forse il mio dono, ebbi la capacità di insistere. Gli dissi: siamo al centro di Napoli, non può rimanere tutto così, qualcosa succederà. Si lasciò convincere sperando di creare una cordata di proprietari di locali, uniti nell’intento, questo non avvenne, si tirarono tutti indietro. Lui aveva già avviato la trattativa, alla fine prese, come si dice, anima e coraggio e firmò il contratto. C’e la faremo, non c’è la faremo… Un giorno visitando bene il locale che era stato rimodernato dall’ultima società che l’aveva in gestione, e rimodernare per loro aveva significato cancellare l’arte di Pier Luigi Nervi (ingegnere che   l’edificò tra il 1926 e il 1929, ndr) usando pitture moderne e rivestimenti di plastica, ci rendemmo conto, invece, che si trattava di un locale eccezionale. Io ebbi il vanto di ricordare che la cupola del soffitto una volta si apriva a manovella, noi l’abbiamo ripristinata col telecomando. Francesco si rese conto che era un vero teatro, era provvisto di camerini, insomma aveva di tutto di più. Lui era un entusiasta e quando entrava in una idea la realizzava. Avviò i lavori, riuscì a togliere le coperture, le pitture, la controsoffittatura. Ha riportato l’Augusteo a come era. Intanto era bravissimo nei rapporti, conobbe Garinei, Ardenzi, i grandi del teatro dell’epoca, per cui facemmo un primo cartellone che ospitava Giorgio Albertazzi, Paolo Ferrari con Valeria Valeri, Turi Ferro e Montesano divo del momento con lo spettacolo “Beati Voi”. Partimmo alla grande, mio marito sapeva incantare le persone con cui trattava, era uno che aveva un carisma nei rapporti, io giocavo a fare la moglie del padrone, in realtà facevamo tutto insieme, ma ho avuto sempre bisogno di stare un po’ indietro. Li conquistò tutti, stampa, personaggi dello spettacolo, addetti ai lavori. Furono anni beati, tutto andava molto bene ma ci sono stati anche anni un po’ meno eclatanti, come accade. Fino ai primi anni del nuovo millennio, questo è stato il locale che aveva più spettatori al giorno. Una bella soddisfazione. Nel frattempo mio figlio era cresciuto, faceva l’avvocato penalista, mia nuora l’architetto, però poi si sono interessati al teatro ci hanno dato man forte, non c’erano occhi che bastassero”

Suo marito è scomparso a Ischia all’improvviso il 18 agosto 2015. E’ stato difficile per lei e suo figlio andare avanti senza di lui?

“È sempre difficile, quando trascorri 55 anni insieme a una persona non è che ti manca solo il marito, o l’impresario, alla fine ti manca un pezzo di te, sei troppo tutt’una cosa nel bene e nel male. È pesante, sento molto la responsabilità per mio figlio, perché conoscendo questo mondo sapendo quanto è duro e certe volte cattivo ero molto preoccupata che un criminologo che si avviava ad una carriera universitaria dovesse avere a che fare con persone diverse da lui, tanto più che essendo cambiati i tempi cambiavano anche le qualità. Quando tu hai un impresario che forma compagnie di livello è tutta un’altra cosa, ma quando devi entrare nelle novità del momento, ti devi adeguare ai tempi, ti devi calare in una mentalità diversa, nuova e ci devi entrare perché siamo privati, non riceviamo sovvenzioni per cui alla fine ci devi per forza guadagnare e la stagione deve andare per forza bene. Nell’ultimo paio d’anni vedevo mio marito molto stanco, la scomparsa improvvisa di Francesco è stata molto pesante è stata uno sprone a lavorare di più, non potevamo assolutamente fermarci.”

Francesco Caccavale aveva una bella voce, vuole raccontarci di questa dote canora?

“Da ragazzo aveva un gruppo di amici, tra questi Fausto Cigliano, il suo amico del cuore, ed era entrato in un insieme che seguiva Roberto Murolo, s’interessavano di quello che faceva e scriveva, della poetica del padre; erano appassionati di cultura napoletana, avevano imparato a suonare la chitarra, a cantare. Le nostre erano serate allegrissime. In seguito è accaduto anche con gli ospiti del nostro teatro. Ricordo che una sera ad una festa c’erano proprio Murolo, Renzo Arbore e Gaber. Mio marito e Arbore cantavano ricordando a Murolo le sue canzoni, Gaber sentendo la voce di Francesco mi disse: ho capito perché ti sei innamorata di tuo marito.”

Il Futuro del Teatro Augusteo?

“Da una parte adeguarsi ai tempi e dall’altra non scadere perché è troppo facile incassare in certi momenti che però non sono produttivi. Se semini, magari incassi di meno, ma hai seminato una pianta che cresce, se in quel momento tagli la pianta e ti mangi il frutto può darsi che la pianta non rinasca. Fare scelte oculate tenendo presente che in questo momento non ci sono produzioni, le uniche produzioni valide sono quelle degli Stabili ma noi siamo al di fuori di quel giro. Io pero sono ottimista di natura, in più ritengo che il teatro deve sempre vivere. Ci sono persone che considerano gli incassi come guadagno personale e non si rendono conto che una cosa è l’incasso e una il guadano personale. Noi abbiamo una mentalità diversa, così mio figlio, una mentalità tranquilla di persone perbene.”

> di DELIA MOREA

condividi su: