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Il Gigante Napoletano

  14 Aprile 2017

Albergo dei Poveri, la storia del grande progetto di Ferdinando Fuga, alla ricerca del suo futuro.

Carlo Sebastiano di Borbone, che sarà conosciuto, dopo il 1759, come Carlo III, non ebbe esitazioni.

Già la prima volta che Padre Rocco, con la sua consueta e appassionata oratoria, gli sottopose l’idea, a Carlo sembrò ottima, perché coniugava principi illuministici, caritatevoli e di buon governo, necessari per avere quella buona fama a cui ogni sovrano aspira. Fu così che affidò a Ferdinando Fuga l’edificazione di un imponente palazzo che avrebbe dovuto offrire un tetto e un pasto caldo a tutti gli indigenti del regno. Nacque “o’ Serraglio”, “o’ Reclusorio”, vale a dire il Real Albergo dei Poveri, il cui progetto prevedeva una struttura rettangolare con una facciata di circa seicento metri e i lati minori di oltre cento. Il risultato finale fu un tantino più modesto, visto che proprio la facciata che oggi si può ammirare, misura quasi la metà rispetto alle intenzioni originarie. Ciononostante, l’Albergo dei Poveri resta una delle costruzioni pubbliche più grandi del mondo, sebbene un destino da incompiuto abbia contraddistinto quasi tutta la sua lunga storia. Infatti, i propositi di accoglienza furono soddisfatti solo in parte ricevendo in alcune stanze gli orfani dell’Ospedale dell’Annunziata per insegnargli un mestiere, ma per decenni l’Albergo dei Poveri fu utilizzato essenzialmente come carcere. Nell’Ottocento ospitò anche una scuola di musica, mentre negli anni Trenta del secolo scorso ricettò il tribunale dei minori; nei suoi scantinati, invece, si rifugiarono gli abitanti della zona durante i duecento bombardamenti alleati dell’ultimo conflitto mondiale; dal dopoguerra in avanti tra le sue mura trovarono spazio una scuola elementare, un cinema, alcuni uffici del Comune, varie officine meccaniche, una succursale dell’Archivio di Stato, un paio di aule dell’allora facoltà di sociologia e, addirittura, una mostra di repliche di dinosauri. Un vero e proprio caleidoscopio di situazioni, vicende, storie e solidarietà. Non deve dunque sorprendere se il protagonista “L’Auberge des paure”, il bel romanzo di Tahar Ben Jelloun, ritrovi proprio qui il senso della sua vita.

Dal 1999 una “lenta” ristrutturazione sta tentando di restituire alla città questo prezioso monumento e, soprattutto, di assegnargli una precisa identità e funzione. Qualche anno fa si provò, senza successo, di farne la sede dello Stoà. La Regione Campania prese in considerazione l’ipotesi di trasferire al suo interno tutti i suoi uffici. Poi si pensò di affidarne la gestione a uno dei grandi musei internazionali (tra i vari nomi circolava, addirittura, quello, suggestivo, della fondazione Guggenheim): forse la soluzione più efficace, anche per rivalutare il quartiere in cui sorge. Negli ultimi tempi si sta valutando la possibilità di concedere una parte dell’edificio al dipartimento di veterinaria. In fondo, le potenzialità del capolavoro di Fuga sono enormi, basta solo avere un po’ di quello stesso talentuoso coraggio che ebbe re Carlo quando decise di avviarne la costruzione.

Lo scorso dicembre sono terminati i lavori di riqualificazione dei giardinetti di piazza Carlo III. Il primo passo di un lungo percorso che si prefigge il recupero di questa zona di Napoli. Un progetto ambizioso che, se saranno esaudite le richieste dei comitati di quartiere, prevede, oltre al completo restauro di palazzo Fuga, anche una stazione della cosiddetta linea 10 della metropolitana, i cui capolinea saranno piazza Cavour e la stazione dell’Alta Velocità di Afragola.

 

> Di Roberto Colonna

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