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Salemme: “Con la commedia porto in scena i nostri difetti”

  01 Aprile 2017

L’attore si racconta, dagli inizi con Eduardo De Filippo ai grandi successi cinematografica.

Vincenzo Salemme è in scena al Teatro Diana fino al 19 marzo con la sua nuova commedia “Una festa esagerata”, un successo che va ad aggiungersi agli altri di una magnifica carriera. Lui è un talento multiforme, versatile, un artista che aggiunge sempre nuovi tasselli alla sua espressività e creatività. Un lungo percorso iniziato da giovanissimo (passando attraverso varie esperienze di cui fondamentale quella con Eduardo De Filippo) che ha, di certo, vivificato il teatro napoletano moderno. Salemme ha radiografato attraverso le sue commedie la borghesia, i piccoli/grandi difetti, ipocrisie, malesseri, malattie e fisime della nostra odierna società, con uno stile di scrittura e comicità nuovo e personalissimo e riformando la commedia napoletana.

Dal 1977 (data del debutto con Eduardo De Filippo) ad oggi ha percorso una esaltante carriera. Attore, commediografo, regista teatrale, cinematografico e vero entertainer. A tutt’oggi quale di questi ruoli preferisce?

“Il teatro che in realtà comprende tutte le altre cose che ho fatto, perché senza la mia base teatrale non avrei potuto fare cinema e televisione.”

Nel 1990 il debutto come commediografo con la piéce “Sogni, bisogni, incubi e risvegli” che comprendeva due atti unici “Buonanotte” e il “Signor colpo di genio”. Un successo strepitoso che ha inaugurato una nuova comicità e una scrittura teatrale napoletana al passo con i tempi. Un linguaggio fresco, ironico, dalla comicità fulminante, soprattutto uno sguardo profondo sulla realtà: fisime, malattie, psicologie maschili e femminili. È d’accordo con queste definizioni, si ritiene il riformatore del teatro comico moderno made in Napoli?

“”Sogni, bisogni, incubi e risvegli”, venne presentato in due piccoli teatrini, il Teatro dell’Orologio, a Roma, e il Sancarluccio, a Napoli, e fu un grande successo. Grazie per la definizione di riformatore ma non posso dirlo io, sono gli altri che devono giudicarlo e non so se gli altri la pensano così. La novità del mio teatro è che utilizzo un tipo di racconto teatrale più leggero che funziona. Non potrei fare una commedia con la struttura borghese di un tempo, da Goldoni in poi per intenderci, credo che il mio pubblico, anche abituato ad un linguaggio televisivo, del cinema, del web, non mi seguirebbe. Più che il fenomeno sociale io esamino l’umanità che lo simboleggia, le persone con i loro malesseri, i tic, le psicologie. Con la morte di mia madre lo scorso anno devo dire che qualcosa è cambiato. Con l’attuale commedia “Una festa esagerata” sono tornato ad una piéce più tradizionale nel senso della struttura, l’architettura è varia ma rispetta la storia, ho rimesso la cosiddetta quarta parete che negli ultimi anni avevo  sfondato, nel senso che scendevo in sala tra il pubblico, facevo dei veri e propri show, lo facevo apposta, volevo ulteriormente contaminare il linguaggio teatrale con quello più cabarettistico, televisivo. Questa volta mi sembra di essere riuscito a spruzzare un po’ di tutto questo in una commedia più tradizionale.”

Dove nasce l’ispirazione teatrale?

“Non lo so, da bambino mi piaceva stare solo e il foglio bianco era un rifugio, nel senso che mi piaceva scrivere. Mi ricordo che quando ero molto piccolo scrivevo le letterine di Natale, facendo il riassunto dell’anno trascorso e organizzavo delle piccole performance scrivendo le parti di tutti i componenti della famiglia. Mi piaceva stare con il foglio bianco. Si dice la paura del foglio bianco ma per me, invece, era una irresistibile tentazione”.

Non ha mai pensato di scrivere un testo drammatico?

“Ci ho pensato ma dovrò farlo in teatro perché in cinema non me lo fanno fare e forse il pubblico rimarrebbe deluso. In ogni caso quest’ultima mia commedia è abbastanza amara, specie nel finale, e alcuni si commuovono”.

Il cinema è stata la sua secondo grande esperienza come regista e attori di film di successo. Ritiene che il mezzo cinematografico oggi sia più fruibile per il pubblico rispetto al teatro?

“Attualmente credo che abbia più vigore il teatro. Il teatro è immancabile, non riesco a pensare ad una civiltà senza il teatro. Il cinema essendo un mezzo più tecnico deve faticare di più.”

Scriverebbe un film diverso dalle sue tematiche? A mio avviso credo che oggi il cinema italiano sia un po’ in crisi. Tranne qualche nome, come Sorrentino, Tornatore, non ci sono molti autori di spicco come erano ad esempio Fellini, De Sica.

“Loro facevano film che li rappresentavano. Il pubblico in quei film riconosceva Fellini, De Sica, Steno, Monicelli. Adesso tranne Sorrentino, che ha un suo stile e qualche altro, spesso i prodotti cinematografici si costruiscono a tavolino. Mi piacerebbe che i produttori scegliessero l’artista che gli piace e ci credessero. Parlo di produttori privati, i cosiddetti produttori mecenati di una volta che credevano in un artista e lo finanziavano, allora il film può andare male ma può anche andare bene”.

Un ricordo di Eduardo De Filippo

“Quando l’ho conosciuto ero giovanissimo, lui aveva 77 anni. Avevo un rapporto molto familiare, mi trattava come un nipotino, credo mi stimasse perché mi raccontavano che diceva cose belle di me, ricordo che aveva un grande entusiasmo per la vita, una grande freschezza giovanile, nonostante l’età. Aveva sempre progetti nuovi”.

Il rapporto con la famiglia Mirra?

“È nato come rapporto di lavoro nel 1996 con Lucio e Mariolina Mirra ed oggi prosegue soprattutto con Giampiero Mirra. Negli anni siamo diventati come una famiglia, sebbene teatrale. Io confondo molto spesso la compagnia teatrale con il privato, non distinguo. Mi rendo conto che una cosa è la vita e una il lavoro, però nel caso del teatro le cose spesso si fondono per cui per me i Mirra sono come una famiglia”.

> di Delia Morea

  

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