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All’ombra del Vesuvio

  08 Febbraio 2020

Natura, cultura e storia nell’area del vulcano più famoso del mondo

Simbolo di Napoli con la sua inconfondibile forma tronco-conica, il Vesuvio è cuore pulsante dell’omonimo Parco Nazionale, con ben 11 sentieri, aree archeologiche e museali, sfarzosi edifici storici.

Sentieri

Il Parco Nazionale offre ai visitatori 11 percorsi per una lunghezza complessiva di 54 Km. con diverse tipologie di sentieri: sei ad argomento naturale, uno educativo, uno panoramico ed uno agricolo.

Il sentiero n. 1, “La Valle dell’Inferno”, parte da Ottaviano e si inerpica sul Monte Somma offrendo la vista del Palazzo Mediceo, di epoca medievale, poi ristrutturato fino ad assumere l’attuale aspetto di dimora nobiliare rinascimentale. Finito negli anni ’80 nelle mani della malavita organizzata, fu confiscato dallo Stato e riconsegnato al Comune di Ottaviano ed oggi ospita la sede dell’Ente Parco ed un Centro di Educazione Ambientale.

“Lungo i Cognoli” è il sentiero che si snoda attraverso una fitta pineta per poi proseguire in un castagneto fino a raggiungere una vegetazione a macchia di ginestra che lascia il posto alla nuda pietra lavica. “Il Sentiero del Monte Somma” è un’affascinante percorso circolare che conduce fino a punta Nasone, alla scoperta della vetta più alta. E’ possibile immergersi in una fitta pineta riqualificata dal Corpo Forestale dello Stato optando per il sentiero denominato “Attraverso la Riserva Tirone”, mentre i sentieri “Il Vallone della Profica” e “Il Trenino a Cremagliera” si snodano l’uno sul versante meno conosciuto del Monte Somma e lungo la storica strada di ascesa al Vesuvio.

Se si vuole provare l’emozione di passeggiare su una colata lavica in un paesaggio quasi lunare, non si può fare a meno di scegliere il sentiero n. 9, detto appunto “Il Fiume di lava”, mentre “L’Olivella” è una passeggiata lungo le fertili campagne di Sant’Anastasia. Il sentiero n. 11 conduce, invece, nella fitta pineta di Terzigno.

I sentieri n. 5 e 6 sono quelli che, permettendo la scalata al Gran Cono, offrono un’esperienza irripetibile. Partendo da Ercolano, l’ascesa procede attraverso diversi tornanti che permettono la vista del Monte Somma e della Valle del Gigante. Man mano che ci si inerpica appaiono il Golfo di Napoli, la pineta della Riserva Tirone ed il Colle Umberto dove sorge l’Osservatorio Vulcanologico Vesuviano.

Si sale fino al cratere ed, una volta giunti in cima, per la discesa ci si innesta sul sentiero n. 6, “L’Antica Strada Matrone”, tracciato nel 1955 per risalire al Gran Cono dal versante di Boscotrecase. Il sentiero sostituì la vecchia “Mulattiera Fiorenza” di fine ‘800, lungo la quale sostavano i passeggeri della Ferrovia Circumvesuviana diretti a Pompei.

Oplontis

Con l’eruzione del 79 d.C. molti centri urbani, tra cui Ercolano e Pompei, furono completamente seppelliti da cenere e lapilli provenienti dalla bocca del Vesuvio.

Gli scavi di Oplontis, benché minori come estensione e meno conosciuti rispetto alle altre ben più famose aree archeologiche vesuviane, offrono testimonianze significative della vita nel suburbio pompeiano. In epoca borbonica, furono ritrovati edifici di età romana nella moderna città di Torre Annunziata. Si trattava di un vero e proprio centro urbano periferico, sottoposto nel I sec a.C. alla giurisdizione amministrativa di Pompei.

Ciò che caratterizza Oplontis è la presenza di due monumentali costruzioni adibite a due differenti usi: la Villa di Poppea, una cosiddetta villa “d’otium”, lussuoso complesso residenziale, e la Villa Lucio Crassio Tertio, una “villa rustica” utilizzata come azienda agricola per la produzione di vino e olio.

La Villa di Poppea, costruita nella prima metà del I sec. A.C e poi ampliata in età imperiale, è stata attribuita a Poppea Sabina, seconda moglie dell’Imperatore Nerone, per via di un’iscrizione su un’anfora in cui viene citato Secundus, liberto di Poppea. Ricca di pregevoli affreschi a tema naturale e di copie romane di sculture greche, la villa era disabitata al momento dell’eruzione in quanto nel corso degli scavi non furono ritrovate suppellettili di uso giornaliero, bensì materiali edili, il che fece supporre che l’edificio fosse in ristrutturazione in seguito a qualche evento sismico. La Villa di Poppea era dotata di ampi giardini e di un quartiere termale e, nella sua porzione occidentale, anche di un edificio militare con un’antica fabbrica d’armi.  La meraviglia più grande è però costituita da un’enorme piscina (lunga 60 metri, larga 16 metri e profonda 1,5 metri)destinata ad ospitare spettacoli acquatici e naumachie.

Nel 1974, ad est della Villa di Poppea ed in seguito ai lavori di costruzione di una scuola, emersero i resti di un secondo edificio a due piani: un complesso risalente all’epoca sannitica (III-II sec. a.C.) attribuito a Lucio Crassio Terzio grazie ad un sigillo in bronzo rinvenuto nell’area della costruzione. Per via delle numerose stanze adibite a magazzini in cui sono state ritrovate più di 400 anfore vinarie, si presume che la struttura costituisse in realtà un’azienda agricola. La parte superiore dell’edificio era certamente adibito a residenza signorile. Infatti in alcuni ambienti sono state ritrovate pitture di età repubblicana.

Al momento dell’eruzione del 79 d.C. la villa rustica era abitata e ciò è testimoniato dal rinvenimento durante gli scavi di 54 corpi e, accanto ad essi, di monete , gioielli e suppellettili di uso comune.

Il Miglio d’Oro

Alle falde del Vesuvio c’è una strada di grande prestigio che nel ‘700 collegava San Giovanni a Teduccio con Torre del Greco, attraverso San Giorgio a Cremano, Portici ed Ercolano. La strada è chiamata “Il Miglio d’Oro” per la ricchezza paesaggistica e la presenza di splendide ville nobiliari di epoca borbonica.

Il ‘700 fu un periodo di intensa attività artistico-architettonica e la costa vesuviana rappresentò il luogo ideale dove poter costruire ville sontuose che esaltassero il gusto del bello ed il lavoro di architetti, scultori e pittori dell’epoca, quali Vanvitelli, Vaccaro e Fuga.

Intorno al 1738 Carlo III di Borbone, quasi in contemporanea con la costruzione della Reggia di Capodimonte a Napoli, fece costruire anche una Reggia a Portici. Il sito, prescelto da re Carlo, si rivelò profondamente intriso di memorie storiche: ad ogni scavo infatti qualche meraviglia del passato riemergeva alla luce. I reperti, provenienti dalle città sepolte di Ercolano e Pompei, furono così sistemati nelle stanze della Reggia e diedero vita all’Herculanense Museum, inaugurato nel 1758 e meta privilegiata del Grand Tour. Poi, nei primi anni dell’Ottocento, le vaste collezioni di archeologia furono trasferite a Napoli e costituirono il nucleo principale del MANN, l’attuale Museo Archeologico Nazionale.

Per accedere alla Reggia dal mare, nel 1773 fu anche il porto del Granatello.

La nobiltà seguì la scia tracciata dal sovrano borbonico e prese a commissionare la costruzione di sontuosi edifici: lungo il “Miglio d’Oro” furono edificate circa 200 ville in stile barocco e neoclassico, un patrimonio immenso a cui tutela nel 1971 è stato istituito “l’Ente per le ville vesuviane” allo scopo di provvedere alla loro conservazione, restauro e valorizzazione.

Ad oggi sotto tutela dell’Ente, divenuto Fondazione oggi guidata dal prof. Gianluca Del Mastro, ci sono 122 ville alcune delle quali, come Villa Campolieto, Villa Ruggiero e La Favorita, completamente ristrutturate, si offrono al visitatore in tutta la loro emozionante bellezza. Altre hanno notevoli giardini di pertinenza, purtroppo dimenticati, come Villa Nasti, Villa Salvetti, Villa Spinelli di Scalea e Villa Bruno. Alcune ville nel tempo sono state completamente inglobate in edifici residenziali popolari, come Villa Pignatelli di Monteleone di cui rimane, purtroppo, solo qualche traccia.

Tuttavia, per fortuna, alcuni di questi splendidi edifici hanno avuto sorte migliore come Villa Bisignano, Villa Borrelli, Villa Aprile, Villa Durante, Villa Granito di Belmonte, Villa Signorini e Villa Vannucchi che, una volta restaurate, sono state destinate a biblioteca o ad uffici comunali.

Pietrarsa

Una delle aree museali più suggestive del territorio vesuviano è il Museo Ferroviario di Pietrarsa, un sito in grado di condurre i visitatori in un viaggio nel tempo tra locomotive e treni che hanno unito l’Italia dal 1839 fino ai nostri giorni, dal periodo borbonico, attraverso il Regno d’Italia e fino alla Repubblica.

Il museo è prospiciente il mare, nel luogo appunto definito Pietrarsa per via del fatto che, in seguito ad un’eruzione del Vesuvio, la lava giunse fino a quel punto della costa. Il Vesuvio è a due passi ed il sito offre una spettacolare vista del Golfo di Napoli, Capri ed Ischia e della Costiera Sorrentina.

L’area museale è ospitata nelle officine di epoca borbonica del “Reale Opificio Meccanico, Pirotecnico e per le Locomotive”, fondato da Ferdinando II di Borbone nel 1840 in occasione dell’avvio della prima ferrovia in Italia, la linea Napoli-Portici, un vero primato dell’epoca.

Pietrarsa divenne presto uno dei principali opifici specializzati in Europa per la costruzione e manutenzione delle locomotive a vapore. Vanto del Regno delle Due Sicilie, venne visitato dallo Zar di Russia Nicola II e da Papa Pio IX.

Con la nascita del Regno d’Italia iniziò il declino dello stabilimento con alterne vicende fino all’avvento delle locomotive a trazione elettrica che ne decretò la definitiva chiusura nel 1975.

Dal 7 ottobre 1989 i suoi capannoni ospitano il primo museo ferroviario italiano.

> di Aurora Rennella

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