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Il prezioso Garum, condimento d’eccellenza

  03 Dicembre 2019

La Storia non serve soltanto a ricordare il nostro passato, ma a rammentarci che esiste un filo ininterrotto che, attraverso il tempo, ci lega indissolubilmente alle scelte di vita dei nostri predecessori. Mi ha sempre affascinato l’epoca di Augusto, la sua politica di rivoluzione dei costumi nella società e la relazione che lega tale epopea alle nostre abitudini alimentari.

Boni Mores erano i “buonicostumi”, le regole che dovevano essere osservate da tutti gli abitanti dei territori dell’Impero romano e che furono emanate sotto l’imperatore Ottaviano Augusto, decretando, come attesta lo storico Sallustio, il periodo storico di maggiore pace, benessere e concordia più lungo dell’Impero. Proprio in quest’epoca fiorirono le arti, anche culinarie, come attestato nel “De re coquinaria”, il primo testo classico della letteratura gastronomica romana scritto da Marco Gavio Apicio, raffinato gastronomo, cuoco e scrittore romano, vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., amante dello sfarzo e del lusso.

Alcune di queste preparazioni sono giunte fino a noi, divenendo, a pieno titolo, parte integrante ed identitaria di tradizioni locali. Una di questa è il “Garum”, famoso condimento ricavato dalla “putrefazione” di vari tipi di pesce, molto sale e numerose erbe aromatiche, tipiche della macchia mediterranea e, poi, raffinato attraverso diverse filtrazioni e raccolto e conservato in anfore su cui si indicava l’anno di produzione e la qualità. Ne esistevano di più tipi: il migliore era sicuramente il “Garum excellens”, ottenuto dalla macerazione di alici e ventresche di tonno; a seguire, il “Garum Flos Floris”, da un mix di sgombro, alici e tonno; poi, il “Garum Flos Murae”, da murene ed, infine, anche una quarta varietà, meno pregiata, ottenuta dalle … ostriche.

Molto apprezzato per il suo gusto fortemente salino e pungente, col Garum i nostri avi ci condivano proprio tutto, dall’antipasto al dolce.

Le stesse erbe utilizzate per la preparazione del Garum si ritrovano, dopo alcuni secoli, negli Aromatari di epoca medievale della Scuola Ippocratica di Salerno, da dove, a partire dalla metà del XIII secolo, si hanno le prime notizie dell’uso della colatura di alici di Cetara, che è, di fatto, una preparazione mutuata dall’antico Garum. Fonti autorevoli attestano che i monaci cistercensi dell’antica badia del 1208, detta di San Pietro a Tuczolo, colle vicino ad Amalfi (SA), praticavano anche la pesca delle alici, che, private della testa e delle interiora, venivano disposte a strati con il sale grosso in grosse botti di legno e coperte da un masso pesante che faceva da pressa, da cui fuoriusciva Il liquido in eccesso che si depositava e colava sul fondo. Il profumo ed il sapore intenso indusse i monaci all’impiego in cucina per condire carni e verdure lesse.

Nacque la pregiata colatura di alici di Cetara, ricercata in tutto il mondo, eredità preziosa del nostro passato.

> di Carmen Guerriero

 

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