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Arte contemporanea a Napoli: Napoli, anni ‘70

  31 Ottobre 2019

Un decennio caratterizzato da forti fermenti artistici e culturali.

Beuys e Warhol da Amelio. Il rinnovamento di Morra, Trisorio e Rumma

Officina di sperimentazioni e progetti, laboratorio di sogni e incanti, Napoli, durante gli anni settanta, diviene d’improvviso setting privilegiato per una mise en scène di fatti artistici contemporanei importanti e vivaci, che la pongono al centro del dibattito artistico a livello internazionale. Sull’abbrivio di esperienze già maturate durante gli anni ‘50 e ‘60, quali il Movimento d’Arte Concreta; il Gruppo 58, quello dei nucleari e dei cinetici, in sintonia con le ricerche d’avanguardia che andavano sviluppandosi in altri paesi d’Europa e negli Stati Uniti, Partenope comincia a commisurarsi con artisti, galleristi e critici, arrivando a gareggiare con la vitalità e il dinamismo della lontanissima New York. Ciò grazie soprattutto all’infaticabile lavoro del gallerista Lucio Amelio, protagonista indiscusso del momento che, dal suo studio di Piazza dei Martiri, faceva rete con la galleria di Leo Castelli a Soho, dettando legge nel mercato internazionale dell’arte.

A Napoli, dunque, l’Europa di Beuys può incontrare l’America di Warhol, e può muoversi fra sperimentazioni concettuali e performative: dalla fotografia, al cinema; dal teatro, alla poesia e alla musica sperimentale. In tale contesto, è cruciale la funzione svolta da quei galleristi napoletani, appassionati e lungimiranti, artefici del rinnovamento culturale in città, come, Giuseppe Morra a via Calabritto, Pasquale Trisorio, Marcello e Lia Rumma alla Riviera di Chiaia che, con il loro sagace lavoro, seguendo le loro inclinazioni, iniziano a costituire una salda rete informativa su movimenti e tendenze, invitando a Napoli gli esponenti massimi della creatività internazionale. Fra tanti, si ricardano Hermann Nitsch, Gunter Brus, Rudolf Schwarzkogler, il Living Theatre, Marina Abramovic, Gina Pane, Donald Judd, Jannis Kounellis, Dan Flavin, Cy Twombly, e parecchi ancora.

Le loro opere sfilano nelle gallerie, che diventano luoghi di resistenza creativa, territori di ricerche e suggestioni, centri in cui incontrare il meglio della temperie contemporanea, in un clima di produttivi interscambi con il contesto territoriale e sociale. Un aspetto, quest’ultimo, rappresentato da ambiziose collaborazioni che i galleristi intavolano con le maggiori istituzioni cittadine: il Museo Archeologico Nazionale, il Museo di Capodimonte, Palazzo Reale, Villa Pignatelli, il Maschio Angioino, il Castel dell’Ovo…

Ne è derivato un arcipelago di infinite possibilità espositivo-organizzative interrelate, ed una diffusa attitudine alla tolleranza e all’integrazione interculturale che lasciava spazio a nuove costellazioni di possibilità mai viste fino ad allora.

> di Loredana Troise

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