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Rubrica “Buone Pratiche”: Scuola di migranti

  20 Giugno 2019

“La prima volta che Mauro è venuto allo Scugnizzo, era per lamentarsi della musica ad alto volume. Abita nel quartiere e la mattina lavora. Adesso collabora con noi…”

Nel centro storico della città, lo Scugnizzo offre numerose attività ricreative ed educative, sia per le persone del quartiere, che dopo un’iniziale diffidenza hanno cominciato a frequentarlo, che per chiunque fosse interessato.

Tra le attività, estremamente preziosa è la Scuola di migranti, nata nel 2013 in uno spazio occupato dell’Università:

“l’abbiamo chiamata così e non scuola di italiano – raccontano Ilaria, Giulia e Cristina, che a turni si alternano nelle docenze con Michela, Natalina ed Emanuela – perché volevamo porre l’accento sulla comunità e la condivisione che si creano nell’offrire un’opportunità per insegnare la nostra lingua ai migranti che studiano e lavorano qui, e, che qui si incontrano e si scambiano esperienze”.

La Scuola è articolata in due classi, che corrispondono a due livelli di apprendimento, in quanto le persone che frequentano i corsi sono un gruppo molto eterogeneo per età e livello culturale. Ma questa mescolanza e discontinuità non ha impedito di mantenere lo spazio aperto, perché la Scuola di migranti dello Scugnizzo è davvero un’opportunità per quanti approdano a Napoli in fuga da povertà, guerra e sofferenze. Ci sono africani, cine- si, ragazzi del Salvador e del Mali, analfabeti e laureati. Persone che parlano poco l’italiano e chi non lo parla affatto. Alcuni arrivano in compagnia, altri da soli. “Una volta in classe ci siamo ritrovati un bel gruppo misto di uomini e donne musulmani – raccontato le tre ragazze -: ne è nata un’accesa discussione, quasi uno scontro sul ruolo della donna nell’Islam. Un confronto che si è rivelato interessante, visto lo sforzo di farlo in lingua italiana”!

Mamadu e Mussa, entrambi del Mali, si sono conosciuti qui. Mamadu che conosce bene il suo dia- letto e il francese, ha aiutato Mussa a non mollare. “Il mio preferito – conclude Giulia, mentre le si illuminano gli occhi – si chiama Asad ed è africano. Viene sempre, anche se piove e ci ritroviamo in tre…”

> di Paola Lamberti

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