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Oplontis, la Montecarlo del Vesuvio

  04 Febbraio 2019

I tesori dell’antica città vesuviana da riportare alla luce per riscrivere la storia di Torre Annunziata

Torre Annunziata, alle pendici del Vesuvio, nasce sulle ceneri dell’antica Oplontis, come testimoniato dalla Tabula Peutingeriana. La Tabula, copia Medioevale di una mappa stradale risalente all’età augustea, infatti, colloca Oplontis a 3 miglia da Pompei e Stabiae e a 6 miglia da Ercolano, dove oggi sorge Torre Annunziata.

Oplontis, la cui nascita del nome è stata attribuita, nel corso dei secoli, all’errata trascrizione del termine ob fontis, ovvero fonte termale di cui è ancora presente un esempio nella zona a ridosso del litorale, è da sempre stata ritenuta una zona suburbana alla vicina città di Pompeii. Una Montecarlo dell’epoca dove erano soliti dimorare, durante le proprie vacanze, personaggi dell’alta società come la seconda moglie dell’Imperatore Nerone, Poppea Sabina, che possedeva una maestosa residenza. Una teoria, quella che Oplontis fosse una zona suburbana, che tuttavia non ha mai trovato unanime accordo tra gli studiosi. Molti, infatti, ritengono insolito che siano stati rivenuti, nel corso di varie campagne di scavi e nell’arco di poche centinaia di metri, diversi edifici abitativi, come la Villa di Poppea, ed anche commerciali, come la villa rustica di Lucius Crassius tertius, oltre alle vicine terme, riscoperte ed ampliate nel 1831, dal generale Vito Nunziante. Scoperte che lasciano pensare che Oplontis potesse essere una vera e propria città più che una zona residenziale di Pompeii

Gli edifici romani

A Torre Annunziata sono stati rinvenuti nel corso dei secoli numerosi edifici, resti di mura perimetrali, canali termali o reperti di altro genere come: anfore capitelli, affreschi etc. Tra gli edifici rinvenuti spicca la Villa A, denominata Villa di Poppea. Questa domus d’otium, la cui costruzione risale al I secolo a.C. e la cui proprietà è stata attribuita a Poppea Sabina, grazie al rinvenimento di un’anfora ed un piatto riportanti l’iscrizione a Secundus, liberto di Poppea, presenta al suo interno ambienti servili, religiosi, zone dedicate allo sport come il grande porticato e giardino, che abbracciano l’olimpionica piscina lunga 61 metri e larga 17, ambienti termali e conviviali, tutti riccamente decorati con affreschi che vanno dal primo al quarto stile pompeiano. Di questa Villa, i cui scavi hanno preso il via dalla prima metà degli anni ’60, è stata riportata alla luce solo una metà mentre la restante parte si trova al di sotto di Via Sepolcri, arteria che costeggia l’ingresso moderno del sito archeologico, e al di sotto della Real Fabbrica d’armi, fondata nel 1758 per volontà di Carlo di Borbone. Proprio questa parte ancora seppellita è al centro di un progetto della Sovrintendenza archeologica di Pompei che mira a riportarla alla luce nel corso dei prossimi anni.

Altro edificio di epoca romana presente a Torre Annunziata, ma non visitabile, è la Villa B, detta Villa di Lucius Crassius tertius, per via di un anello con sigillo ritrovato durante gli scavi. Rinvenuta casualmente nel 1974, durante i lavori di costruzione della palestra di una scuola, questa domus era, come attestato dal rinvenimento di numerose anfore, melograni, ceramiche da trasporto e suppellettili varie, un’azienda dove si produceva e allo stesso tempo si commerciava. Al suo interno sono stati ritrovati numerosi cadaveri, assenti nella Villa A poiché in fase di restauro durante l’eruzione, ed accanto ad essi gioielli come anelli, bracciali, orecchini, oltre a monete, alcune delle quali rinvenute in dei sacchetti di cuoio che i romani erano soliti legare alle loro cinture.

La riscoperta dell’identità

Nel corso degli ultimi anni Torre Annunziata ha cominciato a riscoprire le sue origini grazie in particolar modo all’apertura del Museo dell’Identità, che ospita reperti dell’antica Oplontis oltre ad alcune armi ed oggetti di guerra provenienti dal museo della Real Fabbrica d’armi, ed al restauro della Villa del Parnaso, villa romana andata in gran parte distrutta e sulla quale fu costruito un edificio, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII, poi riscostruito dopo l’eruzione del 1631 ed in parte espropriato durante il 1800 per agevolare la costruzione della linea ferrata Portici-Castellammare.

> di Alessio Barco

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